Hideo Tanaka: il silenzio che parla nell’arte
Ho scoperto l’artista Hideo Tanaka per caso, come accade con molte delle cose più preziose. Un’immagine su un blog giapponese, una condivisione su una galleria web, e poi il suo nome che pur essendo difficile da ricordare non riuscivo più a togliermi dalla testa. Non l’ho mai visto di persona, né ho potuto osservare le sue opere dal vivo, ma il potere che esercitano attraverso uno schermo è qualcosa di difficile da spiegare. Come fosse fatta per arrivare silenziosamente, e lasciare una traccia.

Una voce visiva che non cerca il rumore
Tanaka è uno di quegli artisti che non cerca il clamore. Non ci sono milioni di follower, né mostre roboanti in capitali europee. Eppure, chi incrocia il suo lavoro difficilmente lo dimentica. Le sue opere sono quiete, sospese, ma non fredde. C’è una malinconia presente, quasi zen, come se ogni quadro o illustrazione fosse una meditazione visiva. Ed è proprio questo che mi ha colpito: la sua capacità di trasmettere emozioni complesse con mezzi semplici.
L’estetica del silenzio e del vuoto
La tavolozza di Tanaka è ridotta, spesso dominata da toni pastello o da campiture neutre, dove ogni dettaglio sembra calibrato per non turbare un equilibrio fragile. Le figure umane, quando ci sono, sono solitarie, spesso ritratte di spalle o immerse in paesaggi vuoti e surreali. E poi c’è quella strana sensazione di essere “guardati” dalle sue immagini, anche quando nessun volto ci fissa direttamente.
Una filosofia fatta di impermanenza e ascolto
La filosofia che attraversa il lavoro di Hideo Tanaka è profondamente legata al pensiero giapponese tradizionale, ma riformulata in chiave digitale e contemporanea. C’è il wabi-sabi, l’estetica dell’imperfetto e del transitorio, ma anche una forte componente ma, ovvero lo spazio vuoto che dà senso a ciò che lo circonda. Le sue opere non vogliono spiegare, né rappresentare: vogliono esistere, come pause di silenzio in una conversazione troppo affollata. Tanaka sembra dirci che la bellezza non risiede solo in ciò che è visibile, ma anche in ciò che manca. E questo lo rende un artista profondamente filosofico, anche se non scrive mai una parola.

I loop come poesia visiva
Uno dei suoi progetti che mi ha colpito di più è stato quello intitolato “Night Loop”, una serie di animazioni brevi in cui piccole scene si ripetono all’infinito: un treno che attraversa un ponte, una figura che osserva la pioggia da una finestra, un gatto che si stiracchia su un tetto. Sono gif semplicissime, ma ognuna di esse riesce a raccontare una storia – o forse meglio, a evocare uno stato d’animo. C’è un uso magistrale del tempo, del ritmo, del silenzio. È come se ogni loop fosse una poesia visiva.
Un pittore dell’intimità
Non so se mai avrò la possibilità di vedere dal vivo le sue opere, ma mi piace pensare che forse non è necessario. Forse Tanaka stesso vuole che le sue immagini vivano così, in punta di piedi, nell’ombra luminosa del web. Un artista che non ti urla in faccia, ma ti sussurra qualcosa che rimane.
E in un’epoca in cui tutto sembra gridare per attirare l’attenzione, incontrare la delicatezza visiva di Hideo Tanaka è stato come riscoprire il valore del silenzio. E del tempo lento.
Un’esperienza intima, profonda. Nel mio caso virtuale, certo. Ma autentica.

Francesco Cogoni
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