Intervista a Danilo Sini
In questa Intervista, Danilo Sini ci racconta del suo percorso e della sua continua sperimentazione.
Quando e come nasce il tuo percorso artistico?
Non ho un percorso di formazione artistica scolastico, i miei esordi con l’arte contemporanea risalgono alla metà degli anni ottanta. Il primo approccio fu attraverso la pittura, quattro quadri realizzati con colori vinilici su pvc intelaiato, al tempo lavoravo in una serigrafia e non avendo soldi utilizzavo i materiali a disposizione, cosa che accade spesso anche ora.
Possiedo ancora quei primi quattro pezzi, i soggetti, influenzati dal mio background politico e musicale, mi parvero quasi subito troppo grafici, decorativi e didascalici, per questi motivi rimasero un episodio isolato. La mia attenzione si indirizzò subito, pur senza abbandonare la pittura, su altri media, in primis l’installazione e un certo tipo di scultura, fotografia ecc., utilizzando qualsiasi tecnologia o tecnica non convenzionale che mi incuriosisse. Affascinato dal DADA, intrigato dalla POP ART diedi vita ai miei primi lavori di ready made su televisori, radio ed altri elettrodomestici di uso comune dei quali proponevo anche la versione bidimensionale accoppiando l’oggetto al quadro che che lo celebrava.
Quali persone, artisti ed episodi hanno influenzato maggiormente il tuo percorso?
Come ho detto prima, agli inizi del mio percorso rimasi affascinato dal DADA e dalla volontà, o necessità, di rivoluzione di alcuni dei suoi rappresentanti. Ma presto iniziai a seguire percorsi personali, infatti le influenze, gli episodi o le persone che interferirono/interferiscono con il mio percorso provengono spessissimo da situazioni quasi totalmente avulse dal mondo dell’arte, non si tratta di fatti eclatanti o nomi famosi, ma si tratta di molecole di vita comune, frammenti estrapolati dallo “schermo” sul quale posiamo gli occhi ogni giorno, uscendo o restando in casa, spesso guardando senza vedere.
Cosa cerchi attraverso la forma d’arte che utilizzi?
In realtà non cerco nulla in particolare, si tratta di qualcosa di automatico, di biologico, è una necessità, qualcosa da cui non si può prescindere per continuare a restare in vita, come una qualsiasi funzione corporale, così comune e scontata ma indispensabile. La mia ricerca è sempre stata molto sperimentale, ma ho sempre avuto la sensazione di non essere io a trovare ma di essere trovato, credo che siano le intuizioni a trovare me piuttosto che il contrario, come sarebbe comune pensare.
C’è una parte nella tua ricerca artistica di cui vorresti parlare in particolare?
Direi di no, preferisco che siano le opere a parlare. Posso però dire che, che anche se all’apparenza può non sembrare, le varie fasi e linee di ricerca sono sempre in qualche modo legate e intersecabili tra loro, anche se lontane cronologicamente.
Qual è il tuo rapporto con il mercato?
Al momento non ho alcuna galleria che mi rappresenti, e io non sono mai stato un artista carrierista ne un buon promotore/venditore di me stesso, un po’ per carattere e un po’ per retaggio culturale. Questo ovviamente non ha impedito alle mie opere di trovare collocazione in diverse importanti collezioni istituzionali e private.
Non ho comunque mai considerato la mia attività artistica come un lavoro che garantisse il mio sostentamento, al quale ho sempre provveduto in altro modo anche in momenti più felici per il mercato dell’arte, ne mai son sceso a compromessi per perseguire una carriera. Ho sempre pensato che un atteggiamento arrivistico o estremamente commerciale renda schiavi delle aspettative del mercato, o peggio delle tendenze, cosa che mal si accompagna alla ricerca, che al contrario si sposa con il concetto di libertà. Con questo non intendo dire che chi opera in tale settore non meriti un riconoscimento professionale ed economico.
Cosa consiglieresti ad un artista che vorrebbe vivere d’arte?
Credo di aver già risposto con la precedente domanda, a meno che non intendessi “nutrirsi di arte”, in tal caso consiglierei di non aver timore di sperimentare, cambiare direzione abbandonando una fase se si ha una buona intuizione, per poi riprenderla successivamente se ancora offre spunti da sviluppare. Sbagliare, ma non lasciarsi influenzare dalle tendenze, seguire il proprio percorso anche e soprattutto se in controtendenza. Osservare e vedere dai più diversi punti. So che potrebbe sembrare un luogo comune, ma essere se stessi anche rischiando di apparire in contraddizione, a prescindere da ciò che ci si aspetta da noi, questo favorirà il confronto e di conseguenza la crescita personale.
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Francesco Cogoni.