Intervista a Elisa Pilia “cacciatrice di storie”
Oggi abbiamo il piacere di incontrare Elisa Pilia, giovane e talentuosa scrittrice che ha recentemente pubblicato il suo secondo romanzo, La bambina del vetro. Con una scrittura delicata e profonda, Elisa ci guida a due temi principali, quello della Shoah e quello dell’afasia. In questa intervista, Elisa ci parlerà del processo creativo dietro il suo libro, delle fonti di ispirazione che hanno plasmato la sua narrazione e del viaggio emotivo che questo progetto ha rappresentato per lei. Scopriremo cosa significa per lei scrivere e come spera che La bambina del vetro possa toccare i cuori dei suoi lettori.
Elisa Pilia: la nascita di una scrittrice
F.C. Quando e come hai scoperto la tua passione per la scrittura? C’è stato un momento particolare o è stato un processo graduale?
E.P. Direi che è stato più un processo graduale. La narrazione ha sempre fatto parte di me, mi ha accompagnata sin da quando ero solo una bambina ed è cresciuta seguendo il mio ritmo di sviluppo. Ho cominciato ad appassionarmi all’incredibile “mondo delle storie narrate” come piccola ascoltatrice: già ascoltando i racconti che mi leggeva mia madre, mentre i miei occhi balzavano dalle colorate illustrazioni alle innumerevoli parole stampate nero su bianco, immaginavo i personaggi e le loro incredibili avventure proseguire ben oltre le pagine.
Quando, giunta alla scuola primaria, mi hanno messo davanti un foglio bianco che potevo riempire con l’inchiostro della mia immaginazione non mi è sembrato vero. Anche allora avevo l’impressione che le storie mi divorassero, la penna volava così veloce nella pagina che, alla fine, mi chiedevo se fossi stata io o qualcun altro, nascosto chissà dove dentro me, ad aver elaborato quella storia.
Con l’adolescenza ho capito che scrivere non è solo un modo come un altro di lasciar vagare la mia fantasia, è un’opportunità per fare luce nei posti più scuri e profondi di me stessa.
Fino a quel momento, però, le mie opere si erano limitate a piccoli racconti o poesie dimenticate sul fondo di un cassetto. Le cose sono cambiate durante la quarantena, relegata in uno spazio troppo stretto in cui non era ammesso nessun contatto, ho scoperto che narrare è un modo meraviglioso di comunicare da lontano.
Per la prima volta ho avuto l’opportunità di condividere le mie storie con qualcun altro e così ho imparato che scrivere vuol dire costruire minuscoli origami di carta: le loro pieghe, alle volte, sono le stesse di quelle di un’altra anima.
La realtà come principale fonte d’ispirazione nel lavoro di Elisa Pilia
F.C. Ci sono persone, eventi o autori che hanno maggiormente influenzato il tuo stile e la tua visione come scrittrice? Quali?
E.P. Forse vi aspettate che vi snoccioli i nomi chissà quanti scrittori di grande fama come fonte di ispirazione, ma, la realtà, è che non sempre gli autori sono stati all’origine della mia scrittura.
Non sono sempre stata una gran lettrice: quando ero solo una ragazzina odiavo leggere, lo trovavo davvero troppo complicato; il passaggio dalla lettura di un adulto a quella in autonomia è stata improvvisa e, come accade a molti bambini, affogavo nel mare confuso d’inchiostro delle pagine.
Per tanto tempo a ispirare la mia scrittura è stato ciò che avevo attorno e solo dopo, quando ho cominciato ad apprezzare i libri, sono state anche le parole di qualcun altro. La mia fonte d’ispirazione erano, e sono ancora oggi, gli eventi che vivo, quelli che decido di approfondire perché in qualche modo catturano la mia curiosità e, soprattutto, i luoghi di cui amo circondarmi.
Paesaggi e narrazione
Chi già conosce la mia scrittura sa quanto sono importanti i paesaggi nella mia narrazione, non sono mai solo sfondo, spesso sono un’importante chiave di lettura per comprendere gli stati d’animo dei personaggi. Amo pensare che sia prima di tutto la natura ad abitare questo mondo e noi rimarremo sempre ospiti delle sue infine meraviglie. Tornando agli autori, i nomi che voglio condividere con voi oggi sono quelli degli scrittori di cui ho più apprezzato lo stile e la ricchezza narrativa.
Prima tra tutte voglio ricordare la scrittrice vietnamita Nguyễn Phan Quế Mai, che con il suo primo romanzo “Quando le montagne cantano”, è stata di grande ispirazione nella mia crescita e formazione come autrice. Il suo stile è così delicato e penetrante che, mentre si legge, si ha la sensazione di sentire nella mente una melodia e non una piatta narrazione.
Un altro nome che amo citare è quello di una scrittrice italiana che, con i suoi libri, mi ha accompagnata fin dall’adolescenza; lei è Valentina D’Urbano di cui ammiro la varietà narrativa, lo stile ricco e giovanile. Per il resto amo definirmi una “cacciatrice di storie”, sono sempre alla ricerca di racconti capaci di farmi fare viaggi attraverso tempi, luoghi, culture e tradizioni che mai avrei potuto immaginare.
Temi e messaggi nella sua letteratura
F.C. Attraverso le tue opere, cosa speri di trasmettere ai tuoi lettori? Quali sono i temi o i messaggi che ti stanno più a cuore?
E.P. Ho sempre pensato che i libri siano finestre di pagine oltre le apparenze, vele di carta spiegate verso nuove consapevolezze: i libri fanno pensare, in quell’oceano di parole, fatti e personaggi sono nascosti innumerevoli messaggi. Scrivo per narrare storie in cui le persone possano calarsi in panni che non gli appartengono, racconto per accompagnare i lettori in realtà che non hanno mai sperimentato e in consapevolezze che forse, diversamente, non avrebbero mai
coltivato.
I temi ricorrenti nei miei racconti sono l’infanzia negata, la diversità come ricchezza e la speranza che, come una minuscola stella, brilla anche laddove sembra esserci solo buio e sofferenza. Sono davvero legata al tema dell’infanzia nelle sue innumerevoli variabili e sfaccettature: ancora oggi è un periodo dello sviluppo sottovalutato, incompreso e troppo spesso mal giudicato.
Si va dall’infanzia strappata, come nelle realtà di guerra e povertà, fino all’infanzia usata per ostentare i propri figli o per renderli “piccole star” sotto i riflettori dei social.
La diversità
La diversità è un’altra costante nella mia narrazione, ancora troppo spesso tutto ciò che non rientra nello “standard” viene allontanato, giudicato o compatito. Nella mia vita ho potuto constatare che non esiste alcuna “normalità”; il funzionamento di ogni essere umano è un insieme di così tante variabili che, ridurlo a una semplicistica e noiosa regolarità, è un gran peccato.
Laddove la diversità venga inclusa, capita e celebrata come opportunità è una ricchezza così grande da non poter essere quantificata. È in mezzo a questi temi che si colloca la speranza, spesso davanti a storie di violenza, odio e discriminazione mi sono ritrovata a provare disprezzo per l’essere umano. Ma, anche davanti a così tanta oscurità, è possibile scorgere piccoli grandi lumi di umanità; è di quest’ultima che voglio parlare, ritengo sia una luce che abbiamo il dovere di proteggere, custodire e divulgare.
La bambina del vetro di Elisa Pilia
F.C. Raccontaci qualcosa di speciale riguardo al tuo ultimo libro “La bambina del vetro”. Come è nato e cosa lo rende unico?
E.P. L’idea di scrivere “La bambina del vetro” è nata molto tempo fa nella mia mente. Mi sono affacciata per la prima volta al tema della Shoah che ero solo una bambina, ricordo che, durante l’ultimo anno della scuola primaria, avevamo organizzato una recita in cui si parlava del tema dell’Olocausto ma anche di tanti altri devastanti genocidi avvenuti nella storia del nostro pianeta.
Quando compresi cosa era successo in quegli anni rimasi sconvolta: “Com’era potuta accadere una cosa simile?” Mi chiedevo, mentre guardavo le foto riportate nei miei libri di storia. È da quel momento che ho pensato di voler approfondire quel tema che mi aveva toccato così nel profondo e, durante gli anni, ho pensato di trasformarlo in un racconto.
Crescendo ho avuto modo di interfacciarmi con il tema sotto diverse prospettive, arricchendolo di nuove consapevolezze e spunti.
L’intervista ad Edith Bruck
Racconto spesso di un’intervista e di due brani che hanno accompagnato l’ideazione di questo romanzo nell’estate di ormai tre anni fa. Avevo ascoltato una meravigliosa intervista della scrittrice, poetessa, traduttrice e regista Edith Bruck, testimone della Shoah, che, durante il Giorno della Memoria, aveva espresso la sua volontà di continuare a raccontare per non dimenticare. Ha parlato di giovani in quell’occasione, sperava davvero che saremmo stati noi a proseguire quei racconti e io, nel mio piccolo, ho voluto provarci attraverso la scrittura.
I brani, invece, sono tratti da produzioni cinematografiche, uno in particolare, “I Am a Poor Wayfaring Stranger” di Jos Slovick del film “1917”, che prende spunto dai canti che i soldati erano soliti intonare mentre si dirigevano al fronte, è stato importante per l’ideazione dell’intreccio del romanzo.
Nel frattempo mi sono diplomata e, una volta entrata all’università, ho avuto l’opportunità di confrontarmi con realtà a cui non avevo mai dato la giusta attenzione; una tra queste è la tematica delle persone interessate da disabilità.
Dentro il racconto
Ma prima di spiegarvi meglio cosa centra la disabilità con questa storia permettetemi di farvi immergere tra le pagine di questo racconto.
In una realtà di guerra cruda e devastante come quella dell’occupazione nazista della Francia del 1940, Étienne, un ragazzino di soli dodici anni, vede la sua infanzia
troncata per sempre. La sua scuola è stata distrutta, la città in cui abita sembra irriconoscibile dopo che i carri l’hanno devastata e la gente per strada ha ombre scure sotto gli occhi; la guerra è arrivata.
In una realtà in cui ogni colore sembra essergli stato portato via, Étienne, conosce Aili, la bambina del vetro. Aili è ebrea e soffre di afasia, ossia l’incapacità di esprimersi verbalmente, ed è in quella che a molti può sembrare solo una mancanza, un disturbo, una disabilità che i due trovano un nuovo modo di colorare un’esistenza che sembrava aver ceduto per sempre al freddo monocromatico. È la disabilità di Aili e il suo “limite” che permette ai due di scoprire una comunicazione che va al di là delle semplici parole, un linguaggio segreto che si avvale delle sfumature del vetro per capire le emozioni più nascoste del cuore di lei.
Il “nemico”
Un altro elemento importante nella costruzione della trama è la mia concezione di “nemico”: siamo sempre stati abituati a vedere il nazista come l’uomo assetato di sangue, il cattivo per eccellenza; ma la realtà non è stata sempre e solo questa. Molti giovani uomini durante la guerra si sono ritrovati a dover scegliere tra la vita, abbassando la testa davanti a strade che non avrebbero voluto intraprendere, o la morte per diserzione. È stato questo il bivio di un altro importante personaggio del romanzo, Hans, un soldato tedesco che, nel 1954, quando la guerra è ormai solo un brutto ricordo, scrive una lettera a Étienne ormai ventiseienne.
In quel foglio, scritto in un francese stranamente perfetto, un ex soldato, che aveva il compito di sterminare chiunque non corrispondesse alla descrizione di “perfezione” pensata dal suo cancelliere, era alla ricerca di quella bambina che comunicava attraverso il vetro. Sono consapevole di aver scritto un libro su un tema che è stato ampiamente trattato da chissà quanti romanzi, film, cortometraggi e tanto altro.
La Guerra
Sono cosciente anche del fatto che scrivere di questo periodo storico senza essere stata testimone di quello sfacelo e senza aver mai vissuto la guerra è stato un azzardo, ma il mio intento resta il medesimo: oggi più che mai non possiamo girarci dall’altra parte davanti alla sofferenza, anche se non abbiamo vissuto, non viviamo o non vivremo mai tali atrocità non dobbiamo né possiamo rimanere in silenzio.
Parlo di una guerra del 1940, ma ancora milioni di minori muoiono sotto le bombe, innumerevoli soffrono di malnutrizione e malattie e troppi combattono contro disturbi da stress post traumatico a causa di tutto quello che devono vedere ogni giorno. Il libro è dedicato ai bambini vittime delle guerre di ieri, di oggi e di domani e nasce con la speranza di sensibilizzare anche chi la guerra non la conoscerà mai.
Sono convinta che la consapevolezza sia l’unica “arma” che permette di combattere senza violenza.
Case editrici e opportunità
F.C. Come descriveresti la tua esperienza con le case editrici? Quali difficoltà e opportunità hai incontrato come autrice emergente?
E.P. Sentendo quelle che sono le esperienze della maggior parte degli autori emergenti devo dire che la mia è stata meravigliosamente positiva e gratificante.
“La bambina del vetro” non è il mio primo romanzo, a novembre del 2021, a seguito del Concorso Nazionale “Anni Verdi”, ho avuto l’opportunità di pubblicare “Ladra di suoni”, il mio primo romanzo breve.
Ma la primissima esperienza con una casa editrice l’ho avuta poco più di un anno fa quando ho inviato “La bambina del vetro” alla casa editrice “Il Maestrale”.
Avevo valutato quali potessero essere le opportunità migliori per me e per la mia storia e la prima scelta ricadeva proprio sulle “Edizioni Maestrale”, ricordo che ci ho sperato con tutta me stessa e, quando ho ricevuto la chiamata per la proposta di pubblicazione, mi è sembrato di vivere in un bellissimo sogno. La mia esperienza all’interno della casa editrice è stata più che positiva, ho avuto l’opportunità di confrontarmi con professionisti che mi hanno affiancato con gentilezza e pazienza, revisionando il romanzo con la mia stessa voglia di levigarlo e migliorarlo.
All’interno di questo percorso ho avuto l’opportunità di arricchirmi, di crescere e conoscere persone che conserverò per sempre nel mio cuore. A essere sincera non ho sperimentato difficoltà che meritano di essere menzionate, forse il mio è un caso raro ma, da quando ho iniziato questo viaggio, mi si è spalancato un mondo più bello di quanto avessi mai potuto sperare o immaginare.
Consigli per i giovani autori
F.C. Cosa suggeriresti a chi sogna di fare della scrittura una professione? Che consigli daresti per affrontare le sfide di questo percorso?
E.P. Vorrei partire col dire che i sogni sono e saranno sempre una delle forze più grandi che muovono il nostro piccolo grande universo, se smettessimo di sognare la vita si ridurrebbe a un’esistenza piatta e vuota.
Detto questo, però, si sa, i sogni sono pericolosi e possono ferirci in profondità. Ecco perché è fondamentale coltivarne tanti e metterli su una scala che va dal più al
meno raggiungibile o realizzabile.
Oggi vi voglio parlare di sogni e di una bambina che, segretamente, desiderava diventare una scrittrice; quella bambina lo pensava piano, per non fare troppo rumore in quella testa piena di fantasie. Però, e ci tengo a sottolinearlo, quello non era il mio unico desiderio: ho sempre voluto diventare un’insegnante e, nella mia scala gerarchica, veniva prima, era più facile da raggiungere e realizzare; ma non per questo meno grande e intenso da sognare e coltivare.
Scrivere aldilà di tutto
Ho lavorato duramente per raggiungerlo, però, segretamente, un altro desiderio bussava alla porta del mio cuore; aveva bisogno di essere ascoltato un po’ di più. Così ho fatto come si fa con i sogni difficili: ho dosato la speranza e continuato a lavorare per raggiungerlo. Il consiglio che vi voglio dare è di scrivere indipendentemente da tutto, io ho cominciato perché ne avevo un bisogno impellente, ho iniziato per me, per capirmi e per stare bene; solo dopo ho scoperto che poteva essere utile a qualcun’altro.
Iniziate così, su un diario, sopra una pagina strappata, nella sabbia, sulle braccia e poi continuate a sognare un milione di possibilità, coltivate una costellazione di passioni andando dalla stella più vicina a quella che sembra distare troppo da voi. E non arrendetevi, anche quando vi dicono che non ce la farete mai, anche quando vi sminuiscono, anche quando ridono di voi continuate a sognare e a camminare, a correre, a danzare, a volare.
Siate i primi sostenitori di voi stessi, perché troppo spesso nessuno fa il tifo per noi. Scrivere è un’opportunità, coglietela in tutti i suoi molteplici aspetti e non smettete mai: scrivere è l’arte di costruire mondi di cui abbiamo bisogno e in cui decidiamo di fonderci finché non finisce a pagina.
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