Intervista a Francesco Filippelli
Intervista: Francesco Filippelli è un pittore e chimico nato a Napoli nel 1993, di origini Calabresi.
Pittore e chimico che è riuscito ad unire queste due materie creando opere che cambiano come per magia davanti a gli occhi dell’osservatore.
Ma cominciamo con le domande!
-Intervista a Francesco Filippelli-
Quando e come nasce il tuo percorso artistico?
Ho sempre avuto sin da piccolo una propensione per le arti grafiche piuttosto che per le parole. Anche tutt’ora, per me risulta più scocciante leggere qualcosa piuttosto che ascoltare un audiolibro perché ho sempre visto le lettere, (anche quelle), da un punto di vista grafico.
Partendo da questa inclinazione naturale intorno ai 14 anni ho seguito un corso di pittura dalla pittrice Francesca Strino, a bottega come si faceva un tempo. Da li ho imparato materie come teoria del colore, anatomia, tecnica a olio, poi successivamente ho proseguito in maniera personale anche attraverso la scoperta dell’acrilico e delle infinite sovrapposizioni che potevo fare perché si asciuga subito, diciamo che da un punto di vista tecnico, l’acrilico mi ha dato più possibilità di fare quello che volevo.
Il percorso artistico, io credo sia principalmente qualcosa di legato alla vita, è una scelta comunicativa differente, piuttosto che preferire una comunicazione verbale o diretta, sceglie di adoperare altri canali per arrivare ad esprimere delle cose che ad una visione normale o superficiale non si riescono ad esprimere, quindi per me la vita è comunque un proseguo giornaliero del percorso.
Quali persone, situazioni o artisti hanno influenzato maggiormente il tuo lavoro?
Gli artisti che hanno influenzato il mio lavoro sono tantissimi, io cerco di rubare in senso buono da qualunque artista mi piaccia, magari solo determinati elementi.
Per esempio sono stato a Londra, non avevo mai visto dei dipinti di Turner dal vivo, però dopo averli visti il mio stile di pittura è cambiato, nel gusto di una sovrapposizione di colore, anche sporca, in quel senso.
Poi in generale mi rifaccio molto agli studi sul colore degli impressionisti, a come questi studi diventano personalisti ed interiori come nella ricerca di Van Gogh e ancora prima, c’è diciamo nella ricerca sulla realtà di Caravaggio, dove per la prima volta il discorso del guardare la realtà diventa qualcosa di più grande dellimmaginazione.
Ancora prima tutta una serie di riflessioni e di idee geniali di Leonardo da Vinci, ma sono tantissimi gli artisti che mi piacciono, Modigliani per la distorsione della forma, Bacon, davvero tanto, sino all’ultimo in ordine cronologico che è Nick Spatari che è un autore meno conosciuto perché è morto di recente ma che secondo me negli anni successivi verrà assolutamente riscoperto, perché è assolutamente un genio contemporaneo.
Chiaramente l’ispirazione verso un lavoro artistico viene anche da altri contenuti che non siano necessariamente pittorici, come quelli letterari ad esempio, quindi ascolto audiolibri mentre dipingo, di qualunque tipo, a seconda delle ricerche che sto facendo, dai libri religiosi, ai romanzi, a quelli di fantascienza o dell’orrore, amo tanto la letteratura inglese, ascolto molte canzoni, specialmente della discografia italiana, come De André, Battiato… veramente, è qualcosa che attinge da qualunque elemento della vita.
Cosa vuoi esprimere attraverso l’arte?
Due cose principali, la prima è il discorso della percezione della realtà, concetto assimilabile anche a quelli di fisica quantistica, nel senso che noi creiamo la realtà nel momento in cui la percepiamo; e da un punto di vista del colore percepito faccio tutta una serie di studi, partendo dalla fotografia in bianco e nero, mi sono reso conto che la mente è in grado di creare il contrasto cromatico anche laddove appunto colore non c’è, attraverso un processo meditativo, attraverso l’osservazione della fotografia e convincendomi che questa fotografia sia reale, comincio a vedere in maniera praticamente allucinatoria determinati colori sotto forma di onde cromatiche e questi colori li vado a riportare su tela.
-Intervista a Francesco Filippelli-
Mi piacerebbe approfondire sul tuo ultimo progetto artistico, la pittura che sembra muoversi grazie ad un processo chimico!
cosa puoi dirci?
Per quanto riguarda lo specifico dei dipinti in trasformazione il concetto estetico della metamorfosi e delle trasformazione è un pò anche quello di tipo percettivo, ma anche di tipo proiettivo, nel senso che quando noi guardiamo un qualsiasi dipinto andiamo a proiettare, che sia astratto o figurativo, determinate emozioni e sentimenti, la nostra percezione funge da canale attraverso quello che si potrebbe definire un esperimento proiettivo per vedere (in psicologia).
Faccio sempre l’esempio della gioconda, mi è capitato già in altre interviste, se guardiamo la Gioconda la vedremo serena e sorridente se noi siamo sereni, e la vedremo triste e malinconica se noi siamo di quello stato d’animo, nel caso dei dipinti in trasformazione il processo di proiezione viene invertito, sono io ad indurre attraverso una reazione chimica che trasforma il colore sulla tela, quindi la reazione coinvolge proprio il colore sulla tela, è l’oggetto quadro che si trasforma, in questa trasformazione induco quella che è stata la mia stessa visione-proiezione di quell’immagine e inducendola in maniera forzata all’osservatore, perché l’arte è uno specchio, e come l’osservatore vede se stesso osservando un dipinto, quando vede queste opere cambiare, vede un dipinto trasformarsi davanti a gli occhi e se è dentro questa trasformazione, succede che è lui stesso a cambiare.
Qual è il tuo rapporto col mercato? che possibilità ci sono di emergere per un giovane artista?
Io dirò qualcosa che forse è un pochino controtendenza rispetto all’immaginario dell’artista bohémien squattrinato. Io credo che si possa produrre arte seria, vera, nel senso che rispecchia una ricerca reale personale, interiore, anche spirituale se vogliamo, nel momento in cui un dipinto non si realizza come mezzo per un fine, come ad esempio per venderlo. Perché ad esempio se uno persa di fare un dipinto per venderlo, automaticamente dovrà adeguarsi a quelle che sono le esigenze del mercato ed anche la sua arte andrà in quella direzione, quindi sarà un processo realizzativo non immerso nel presente, ma già proiettato nel futuro, nel momento cioè in cui sarà venduto, e questa cosa secondo me è un veleno, indipendentemente dall’approvazione dell’altro e dal successo che un artista possa avere.
Perciò esprimere e comunicare qualcosa, attraverso un linguaggio che non è quello comune, penso debba farlo principalmente per una ricerca personale, nel momento in cui poi, questa ricerca personale portata all’esterno, dà i suoi frutti anche da un punto di vista economico, è un successo che dipende dagli altri, quindi non è una cosa controllabile, quanti artisti non hanno avuto un successo subito, ce lo racconta anche Martin Eden in un romanzo di Jack London quando poi dice, “Io le poesie che scrivo sono le stesse che scrivevo dieci anni fa, però solo adesso voi le state apprezzando e capendo, cos’avevano di diverso anni fa?” è un po’ questo il discorso, quello dipende dall’esterno e non può essere oggetto di interesse quando si produce arte onesta.
Cosa consiglieresti ad un giovane che vorrebbe vivere d’arte?
Vivere di arte è qualcosa che necessita un compromesso, l’arte non dev’essere un mezzo di sostentamento altrimenti si deve per forza di cose piegare alle richieste del mondo esterno, il mio consiglio è di essere indipendenti da un punto di vista economico e produrre arte per altri scopi che non siano quello economico, poi se arriva il riconoscimento economico è un bene, una fortuna, un dono della sorte, la lungimiranza di qualcuno, ma non è assolutamente qualcosa di discriminatorio per quanto riguarda il valore di un oggetto d’arte.
-Intervista a Francesco Filippelli-
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Francesco Cogoni.