Intervista a Germana Stella
Quando e come nasce il tuo percorso artistico?
I miei studi su me stessa partono circa dieci anni fa, avevo appena cominciato l’università e durante questo momento della mia vita, il distacco da casa, dal porto sicuro, mi sono messa faccia a faccia con me stessa, nel vero senso del termine.
Non sapevo cosa stavo facendo, dove stavo andando, e soprattutto dove volevo arrivare.
Da poco ho capito che stavo imparando ad entrare ed uscire da questo corpo.
Quali persone, artisti ed episodi hanno influenzato maggiormente la tua ricerca?
Tutto quello che vedo, che sento, mi influenza e nemmeno me ne rendo conto a volte, ma so che è così.
La vita mi influenza, io non faccio altro che raccontarla e questo è il mio linguaggio.
Cosa vuoi comunicare attraverso l’arte della fotografia?
Vorrei che nessuno si sentisse meno bello, meno intelligente, meno astuto, meno fortunato, meno tutto, vorrei che tutti capissero che la differenza la possiamo fare solo noi, cambiando il modo di vedere le cose e capendo quello che davvero conta.
Vorrei che l’aspetto non fosse un chiodo fisso e che il corpo femminile smetta di far paura alle menti piccole.
Vorrei che tutti capissero che la mente è la misura dell’uomo.
E vorrei capirlo io per prima.
C’è una parte del tuo percorso a cui tieni in particolare?
Il momento più importante di questo mio percorso è stato quello in cui ho capito che nonostante tutto il male che sento sono innamorata della vita.
Qual è il tuo rapporto con il mercato?
Se potessi vivere di aria facendo le mie fotografie in una piccola capanna vicino al mare lo farei ma purtroppo non è così che funziona il mondo oggi e devo adattarmi se voglio far parte dell’ingranaggio. Peccato che ancora ne sono fuori.
Il mercato in questo settore è un posto troppo sporco per una come me, che di sporco ha solo i piatti di ieri ancora nel lavandino.
Cosa consiglieresti ad un giovane che vorrebbe vivere di quest’arte?
Io non vivo con le mie fotografie, vivo delle mie fotografie.
Sono la mia libertà di essere chi sono e gridarlo in silenzio.
Quindi consiglierei a tutti quelli che sentono dentro il bisogno di urlare, di farlo per il proprio bene, nonostante tutto.
Se poi ci si riesce a mangiare ben venga, altrimenti si ripiega su altri lavori.
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Francesco Cogoni.