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Intervista a Licia Svein

Quando e come nasce la tua passione per l’arte? Ma nello specifico quando hai cominciato a scrivere e quando a fare musica?

 

La mia passione per l’arte è nata con la musica. Mio padre mi faceva ascoltare i Beatles, i Deep Purple e tanti altri artisti che hanno fatto la storia. Mi ricordo che ad un’Epifania mi avevano regalato una piccolissima tastiera, che è stato il primo strumento grazie al quale ho iniziato a conoscere la musica nel concreto. 

Ho cominciato a scrivere canzoni a circa dieci anni; erano più che altro canzoncine d’amore e mi accompagnavo in modo goffo con il mio bongo. 

Ho iniziato seriamente a fare musica alle scuole superiori e da lì non mi sono più fermata. Quando sentivo l’ispirazione iniziavo a strimpellare la mia chitarra e, quando veniva fuori un giro interessante, cominciavo a scrivere di getto, per poi vedere e rivedere le parole, in modo che fossero inserite in modo per me soddisfacente all’interno della melodia. 

 

Quali persone, artisti ed episodi hanno influenzato maggiormente il tuo operare?

 

Oltre al pop e al rock anni 60/70, che ho ascoltato grazie a mio padre, ci sono senza dubbio influenze di artisti jazz, come Aretha Franklin, Ray Charles o Esperanza Spalding. Ascolto musica di vari tipi e a seconda di come mi sento o di cosa ho bisogno ne ascolto un genere più o meno specifico. Anche nelle altre forme d’arte provo lo stesso. Quando interpreto un monologo ad esempio, mi sento forte, coraggiosa, ma non in un senso di prevalenza sull’altro, bensì di espressione di me stessa in modo totale, sentendomi quindi libera al cento per cento di essere me stessa, senza aver paura del giudizio altrui e cercando sempre di migliorarmi.

 

Cosa cerchi attraverso queste forme d’arte che utilizzi?

 

Cerco una libertà che nessuno mi potrà mai dare allo stesso modo. La musica è una forma d’arte che io non cerco, però mi trova sempre, sia quando ho bisogno di esprimere qualcosa, sia quando sono talmente giù che come soluzione spontanea al problema viene fuori quella, all’istante. Tutte le forme d’arte che utilizzo mi danno libertà, come anche forza, serenità, consapevolezza e desiderio di condivisione della mia intimità. Questo è quello che mi danno e coincide con quello che cerco in esse.

C’è una parte nella tua ricerca artistica di cui vorresti parlare in particolare?

Artisticamente ti identifichi in qualcosa?

 

Un interesse recente a cui sto dando un’importanza notevole è la ricerca di una mia identità artistica in correlazione con le mie radici. Sono sempre andata a cercare un qualcosa al di fuori delle mie origini sarde, quando invece questa cultura è ricca di cose meravigliose. Ora infatti sento la necessità di creare un qualcosa di ancora più personale, moderno e comunicativo da condividere con la mia isola e con la mia comunità.

 

Qual è il tuo rapporto con il mercato? 

 

Per quanto riguarda il mercato mi muovo sempre in modo autonomo e a livello locale. Ho auto-pubblicato sia la mia raccolta di poesie che il mio disco. Mentre il libro di poesie (“Fragments of life”) l’ho pubblicato su Amazon, l’album l’ho registrato nello studio dei Forse Nati a Senorbì, con dei musicisti meravigliosi che hanno fatto un lavoro eccezionale. Grazie ad una raccolta fondi invece, in cui il sostegno della mia famiglia e dei miei amici è stato essenziale, sono riuscita a stampare i CD e a venderli anche cartacei, cercando di guadagnare anche da essi (oltre che dai pochi live), in questa industria tanto complicata, soprattutto in un periodo come questo, per un autore emergente.

 

Cosa consiglieresti ad uno scrittore e musicista che vorrebbe vivere di queste arti? È possibile coltivarle entrambe a discapito di nessuna?

 

E’ sicuramente possibile, con la giusta organizzazione, ma bisogna essere determinati e investirci tempo e denaro. Prima si devono fare tanti sacrifici e mille altri lavori, senza dimenticare l’obiettivo che ci si è posti. Io stessa ci sto ancora lavorando e bisogna stare attenti a non perdere le speranze. Ad altri artisti consiglierei di continuare a coltivare le loro passioni (che è molto utile avere, sempre, ma soprattutto in un periodo come quello che stiamo vivendo), tenendo a mente i loro desideri e vivendo la loro vita giorno per giorno, anche con piccoli obiettivi, che puntano però a un sogno molto, molto più grande.

 

Ci tengo a concludere l’articolo con un frammento della poesia “My dream of paper” trascritto di seguito.

 

“Nothing 

fills my soul 

like your laugh

 

nothing

 drowns me 

like your goodbye hugs

 

because you are

my safety mat

my exit springboard

my somersault

 

the feeling 

of wearing socks 

when outside it’s snowing

 

the feeling 

of a hot shower 

after eight hours 

working

 

of a song

of Esperanza

of a guitar

arpeggio

or of a flute’s

breath

 

you are 

a puff

of rest

 

my sigh

of relief”.

 

da “My dream of paper” –

Fragments of life

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Francesco Cogoni.

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