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Intervista a Maria C. Magilla Torre

Quando e come nasce il tuo percorso artistico?

Questa è una domanda molto difficile e al contempo semplicissima a cui rispondere.

Un artista non decide ad un certo punto di essere tale ma lo è in partenza, a mio avviso.

Io ho iniziato a disegnare a 2 anni e da allora non mi sono mai fermata.

A 6 anni frequentavo già un corso di pittura ad olio; la maestra che ci seguiva ricordo che, alla prima lezione, mi mise davanti una busta di pasta Divella, quella con il veliero, e mi chiese di copiarlo.

Era evidente che pensava che alla mia età non fossi in grado di fare più di quello.

Quando vide il risultato finale ricordo ancora i suoi occhi sgranati.

La lezione dopo avevo già il pennello in mano.

Non è una storiella per imbrodarmi, semplicemente ero portata ed era l’unica cosa che mi faceva stare bene e mi veniva discretamente.

Il percorso successivo è stato di lotta con mio padre per iscrivermi all’Istituto d’arte, che ai tempi era un professionale dalla pessima fama, e lui da buon professore di matematica mi voleva al Liceo Scientifico, dove mi iscrisse coattamente per un anno.

Fu l’anno più brutto della mia vita.

Per fortuna intervenne mia madre che mi firmò il nullaosta per passare alla scuola che io desideravo.

Da allora con mio padre è stato un inferno ma mi sono diplomata col massimo, sono riuscita a frequentare l’Accademia di belle arti a Carrara, molto lontana dalle mie origini siciliane.

Ho preso due lauree accademiche (perché ora finalmente possono definirsi tali) col massimo, preso un’abilitazione all’insegnamento e vinto un concorso ministeriale.

Sono docente di Storia dell’Arte al liceo da circa 6 anni.

Nel frattempo ho continuato a fare le cose che amavo: ho disegnato fumetti per la Tarantola edizioni e Nicola Pesce Editore, dopodiché mi sono data alla realizzazione di opere grafiche e pittoriche senza sosta, seguendo solo il mio istinto e mai il gradimento di massa.

Questo perché fondamentalmente, per quanto possa avere abilità tecniche, non ho talento, purtroppo non lo puoi sviluppare col tempo, o ce l’hai o non ce l’hai.

Qualcuno potrebbe dire che non ci ho creduto abbastanza o che ho incontrato le persone sbagliate, o persino che sarebbe andata diversamente se fossi nata uomo.

Io preferisco pensare che se non sono riuscita ad andare più avanti di così sia imputabile solo alla mia mancanza di talento, ma non è un dramma.

Non tutte le stelle brillano allo stesso modo, anche quelle invisibili hanno motivo di esistere, ed io sto bene facendo ciò che amo, sia professionalmente che nel mio intimo.

Amo molto il mio lavoro perché mi permette di trasmettere il valore dell’arte ai giovani e insegnare loro non solo opere e artisti ma anche come ci si dovrebbe approcciare alle arti.

Anche se non riuscirò mai a trasmettere nulla con la mia arte o comunque a diventare una vera artista, continuerò a coltivare l’importante missione dell’arte: trasmettere.

Quali persone, artisti ed episodi hanno influenzato maggiormente il tuo operare?

A questa domanda potrei rispondere con uno stuolo infinito di nomi, più o meno conosciuti, ma la verità è che non ho punti di riferimento fissi.

Durante la mia vita ho cambiato continuamente ispirazioni e pietre miliari, dal mondo del fumetto a quello dell’arte tradizionale.

Ammiro artisti di ogni genere e di ogni forma di espressione, dal mondo musicale fino a personalità contemporanee controverse nell’ambito filosofico.

Ciò che cerco sopratutto è di trarre ispirazione più dalle cose e dai fenomeni che dagli altri artisti.

Mi spiego meglio: ammiro l’arte di tantissime persone ma so che al di là di quelle che sono le persone che hanno ispirato loro, hanno dato una interpretazione innanzitutto della propria realtà.

Questo è ciò che cerco di fare anch’io, approcciarmi al mondo più che alle persone.

Sopratutto quando mi avvicino all’arte di qualcuno ho sempre molto rispetto, cerco sempre di comprendere e di staccarmi dal gusto personale, che spesso diventa una vera e propria benda che non permette di fruire a pieno di ciò che si ha di fronte.

Sopratutto non esprimo giudizi, analizzo le cose che mi piacciono di più e cerco di capire perché mi colpisca di più una cosa rispetto ad un’altra e sondo il significato anche di ciò che visivamente non mi trasmette qualcosa a primo impatto.

L’arte è viva e come ogni cosa viva ha bisogno di tempo per essere conosciuta; la prima impressione non è sempre quella giusta.

Anzi, non lo è quasi mai.

Cosa cerchi attraverso la forma d’arte che utilizzi?

Cerco di esprimermi, come tutti gli artisti, grandi e piccoli. Spesso non mi pongo grandi aspettative e non mi impongo sopratutto dei canoni e dei limiti.

Non esiste il DEVO trasmettere questo, non esiste la grande pianificazione.

Tutto avviene con grande spontaneità, dalla scelta della tecnica al soggetto.

Un giorno potrebbe ispirarmi un fungo e quello dopo una medusa, senza motivo, ne faccio un’immagine. Solo dopo cerco di capire perché l’ho fatto.

Li per li lo faccio, perché è un’esigenza.

Penso che siamo troppo vincolati al significato e a volte bisognerebbe approcciarsi all’arte, sia come fautore che come fruitore, in maniera libera, senza aspettative e senza pretese.

Solo così si potrà, secondo me, avere un’esperienza sincera e appagante.

Siamo troppo prigionieri delle aspettative, sia da noi stessi che dagli altri.

L’espressione di fatto non ha i confini che la mente impone.

C’è una parte nella tua ricerca artistica di cui vorresti parlare in particolare?

Onestamente no, perché è vero che ogni artista ha un po’ dei filoni, dei momenti di ricerca mirata su un tema o un particolare aspetto visivo, ma in realtà non riesco a vedere la mia produzione divisa in parti.

Potrei parlare della serie delle “Paludi del Profondo”, dove unisco le carnalità del corpo umano al mondo vegetale e animale, ma non sono molto diverse in questo aspetto dalle mie ultime creazioni, le “Black Visions”, dove sostanzialmente ricerco sempre l’ibrido natura-uomo, in chiave molto più macabra, forse anche dai toni demoniaci, che è una delle cose che mi affascina di più e mi fa stare bene nel realizzare.

Esprime mille sfaccettature della mia interiorità e del mio pensiero più intimo.

Cambia la tecnica magari, nel tempo, passo da composizioni pittoriche complesse e dettagliate ad acquerello e foglia oro a lavori su carta da spolvero semplice e da due lire con semplici penne a china.

Non c’è divisione, sono sempre io che cavalco il mio amore viscerale per la natura, umana o meno che sia.

Qual è il tuo rapporto con il mercato?

Nessuno.

Non lavoro per vendere e se qualcuno vuole comprare dico il mio prezzo.

Se non va bene non tiro al ribasso, perché non ho bisogno di vendere le mie opere per vivere, e non amo svendere il mio lavoro.

Per me è molto prezioso, so quanto vale.

Non si parla di migliaia di euro ma purtroppo la gente vorrebbe sempre far le nozze coi fichi secchi.

Preferisco arredare casa mia che trattare i miei lavori come merce dozzinale.

Per arredare l’anima non si dovrebbe badare a spese.

Chi contratta i prezzi delle opere degli artisti fa loro il peggior torto possibile.

Tanto vale cagare sulle loro tele.

L’arte non è il mercato del pesce!

Cosa consiglieresti ad un artista che vorrebbe vivere d’arte?

Onestamente non sono nella posizione di dare un consiglio realmente utile in questo senso.

Vivere di arte in questo periodo significa letteralmente diventare schiavi di un mercato logorante e in continua evoluzione, fatto di tante contraddizioni, dove l’arte è ormai vera e propria merce di scambio senza anima, come fusti di detersivo al supermercato.

Se invece di vivere di arte dovrei consigliare come fare arte per vivere, suggerirei di non chiudersi in preconcetti, di rimanere aperti ad ogni forma d’arte, studiare, capire come e perché l’arte si sia evoluta.

Comprenderla senza giudicarla.

Distaccarsi dal gusto, supportare gli altri artisti sempre, senza giudizi di carattere morale ma con critiche costruttive solo de richieste.

Ci vuole delicatezza e rispetto con gli altri perché la nostra arte sia compresa e rispettata.

Si può essere irriverenti e avere le proprie idee senza per forza essere stronzi.

Guarda Banksy, Hirst, Cattelan.

La libertà dell’artista non è un diritto alla diffamazione, dove troppo spesso si confonde il concetto di “giudizio” con quello di “opinione”.

Non è per forza necessario avere una grande cultura dell’arte però aiuta molto, io in generale la consiglio, perché arricchisce e aiuta a riflettere oltre che a produrre.

Rimanete attaccati al terreno con radici solide ma siate anche in grado di volare alto senza distaccarvene.

In pratica siate sempre umili, perché ognuno di noi nasce nudo con la verità in tasca.

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Francesco Cogoni.

 

 

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