Intervista a Roberta Congiu
Quando e come nasce il tuo percorso artistico?
Penso che idealmente un percorso artistico nasca quando si abbia l’indubbia consapevolezza che trafficare con matite, colori, pennelli e qualsiasi altro materiale che permetta di esprimere la propria creatività ed il proprio io sia ciò che ci rende sicuri e felici: il mio è nato così.
E’ una consapevolezza che mi ha portato inevitabilmente ad orientare i miei studi prima verso il liceo Artistico per poi specializzarmi in Pittura all’Accademia di Belle Arti.
Da qualche anno a questa parte espongo le mie opere condividendole col pubblico sia in spazi fisici che virtuali.
Quali persone, artisti ed episodi hanno influenzato maggiormente il tuo operare?
Non è semplice rispondere a questa domanda: sono una persona molto curiosa cui piace periodicamente approfondire nuovi interessi, che siano frutto della visione di un documentario storico o della lettura di un saggio.
Dall’adolescenza in poi ho avuto tante passioni che mi hanno portato ad approfondire l’operato di artisti molto diversi fra loro, per cui passo trasversalmente dal riprendere lo studio dei maestri fiamminghi del ‘400 o di mostri sacri come Rembrandt al procurarmi tutto ciò che riguarda Gerhard Richter o la giovane arte contemporanea italiana.
E’ per questo che a volte penso al mio immaginario come una sorta di grande archivio in cui giorno per giorno si siano sedimentati, immagini di opere d’arte contenute nelle enciclopedie che da piccola sfogliavo seduta sul divano di casa, film visti, libri letti, ricordi personali, vecchie fotografie in bianco e nero conservate in scatole di cartone: tutti elementi dai quali poi attingo per la creazione delle mie opere, inconsciamente o meno.
Cosa cerchi attraverso la forma d’arte che utilizzi?
Probabilmente cerco di combattere le mie inquietudini traslandole sulla carta.
Lavorare con carta e penna a sfera, per me, oramai è un qualcosa di naturale ed automatico ma anche di meditativo e necessario per esprimermi al meglio e la mia ricerca – che è sempre stata scandita da tempi lunghi e gestualità ponderate – ultimamente ha virato su un’indagine in cui chi fruisce delle mie opere riconosce quelle inquietudini come le sue, come fosse davanti ad una sorta di specchio.
C’è una parte nella tua ricerca artistica di cui vorresti parlare in particolare?
Onestamente credo che parlino meglio le mie opere per conto mio, di quanto riuscirei a fare io per loro.
Penso che ciò che emerge con forza, nella mia ricerca, sia la volontà di indagare sulla dinamica tra ciò che esteriore e ciò che è interiore, così come nei contrasti che si sviluppano nel proprio inconscio; giocando tecnicamente con il binomio fotografia / disegno creo immagini frammentate in cui appare un mondo senza riferimenti d’ambientazione: tutto questo riesce a fare da contraltare alla dettagliata descrizione dei corpi nudi, spesso accostati da elementi naturalistici in un accompagnamento compositivo apparentemente dissonante.
Creo un contesto sospeso, idealmente ricostruito, che distorce la narrativa più realistica e tradizionale.
Qual è il tuo rapporto con il mercato?
Oserei definirlo schizofrenico: se da una parte ho un nucleo di collezionisti privati che apprezzano il mio lavoro e lo supportano, dall’altra lo scenario non sempre è incoraggiante.
Lavorare in un’isola non aiuta (specie in una regione come la nostra, prevalentemente arroccata in vecchie dinamiche elitarie, ma la sensazione è che qualcosa stia fortunatamente cambiando grazie alle nuove generazioni di curatori e storici dell’arte che si stanno impegnando in questo senso), ma il discorso è generale: per un artista – emergente o meno – senza i classici santi in paradiso è più complicato far si che il suo lavoro venga notato attribuendogli il giusto valore, anche in presenza di talento e preparazione.
Cosa consiglieresti ad un artista che vorrebbe vivere d’arte?
Avevo un docente che a proposito di questo sintetizzava argutamente con un incisivo “Fuori nevica!”.
Quel che posso dire è che non credo esista una formula specifica per farlo, in quanto riuscirvi è dovuto ad un mix di fattori difficilmente elencabili, in quanto instabili e mutevoli.
Ciò che è importante capire, piuttosto, è che essere se stessi è fondamentale, così come arricchire il proprio bagaglio culturale e ravvivare la propria ricerca con qualsiasi novità la possa accrescere e migliorare; rincorrere i trend e “violentare” la propria personalità per compiacere critici e galleristi, invece, spesso si rivela controproducente e inutile per i propri fini.
La situazione ideale, insomma, sarebbe quella in cui degli estimatori credono nella tua ricerca e supportano il tuo percorso, permettendoti perciò di avere delle entrate economiche che sopperiscano alle spese quotidiane ma che al contempo ti assicurino l’indipendenza creativa.
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Francesco Cogoni.