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Intervista a Toniomù: horror vacui pittorico

In questa Intervista a Toniomù conoscerete un pittore appassionato di fumetti, arte e teatro.

Toniomù nascita del percorso

F.C. Quando e come nasce il tuo percorso artistico?

T. Togliendo i fumettini cazzari che ho sempre fatto fin dalle elementari, è un qualcosa di piuttosto recente, direi che più che nascere è stato catapultato fuori un po’ alla rinfusa e un po’ tutto insieme. Ho iniziato poco meno di tre anni fa, fra il 2017 e il 2018, durante un periodo di forte sofferenza psicoemotiva che mi aveva messo bello al tappeto.

I primi disegni che ho tirato fuori erano fitti di forme e linee geometriche che si intersecavano fra di loro creandone delle altre, in quella sorta di megaintreccio di paesaggi e figure che caratterizza gran parte dei miei lavori.

Ho iniziato perlopiù con questo tipo di disegni, ma la svolta che mi ha fatto appassionare davvero è stato iniziare a trasporli sui muri, ed è proprio in quel periodo che ho realizzato i primi murales della mia vita.

Mi appassionava, mi teneva lontano dai pensieri ossessivi e mi dava uno scopo in un periodo in cui mi sentivo senza speranza.

E lì ho detto “Wow! Fiamma!”.

Le influenze artistiche di Toniomù

F.C. Quali persone, artisti ed episodi hanno influenzato maggiormente il tuo percorso?

T. Quando nel 2018 ho iniziato l’accademia di belle arti una cosa che mi recriminavo era la mia ignoranza in fatto di arte (specie contemporanea).

La mia cultura artistica era quella da programma di storia dell’arte da liceo scientifico, quindi perlopiù i grandi del XIX e XX secolo : Picasso, Manet, Le Douanier Rousseau, Klimt, Schiele etc…
Sicuramente sapevo che i miei primi lavori avevano un forte componente cubista (“uoo fra sembra una roba di Picasso” era quello che sentivo dire maggiormente), ma non avevo nessun artista o corrente precisa in testa, anche per la mia scarsa cultura in materia. E non lo dico per modestia, di arte ci capivo veramente poco e non me ne ero mai interessato tanto.

Però un artista contemporaneo e conterraneo che penso mi abbia influenzato tanto e che ho sempre apprezzato è Federico Carta aka Crisa e le sue opere di street art. Mi piaceva tantissimo la leggerezza che riusciva a dare a quelle forme spezzate, tagliate e metalliche che sembravano volare e piegarsi in armonia col maestralino. Era come se prendesse la ferraglia di una discarica extraurbana e le rendesse pace facendola fluttuare fra i muri di Cagliari. Il suo mood mi ha sempre colpito e credo sia stato per me una grande fonte di ispirazione.


Parlare esclusivamente di “arte”

Più in generale non riesco però a parlare esclusivamente di “arte” nel senso stretto di arti visive (pittura, scultura, disegno..) come un qualcosa di scollegato dalle altre forme, e penso che ognuna di esse ci ispiri e ci influenzi a modo suo. Cioè per dire, in quel periodo buio una delle forme d’arte che mi tenevano maggiormente in vita era la musica rap, senza credo che sarei collassato sul serio.

E non scherzo, il lavoro artistico che penso sia stato per me più influente negli ultimi anni è stato proprio un album rap, per la precisione “Scialla semper” di
Massimo Pericolo, artista che stimo e apprezzo tantissimo.

Infine sono state fondamentali nell’inizio del mio percorso soprattutto le amicizie, la famiglia e alcune realtà cagliaritane: da Sa Domu a Su Tzirculu, con le persone che vi ruotavano attorno e l’attività politica fatta con loro, fino a Ferai teatro.

Mi ricordo Nicolino che allora, pur conoscendomi appena, mi ha fatto realizzare tranquillamente un murale nella parete frontale del circolo; o ancora Andrea e Ga di ferai teatro, dove mi hanno lasciato dipingere due grandi pannelli da mettere all’ingresso (sono tutt’ora lì) e che in cambio mi hanno fatto fare il corso di teatro gratuitamente; o ancora Valentina che mi aveva preso a imparare a lavorare in cucina nel suo locale e che in quel periodo di stravolgimento era per me un po’ come una sorellona maggiore.

E questi sono solo alcuni esempi, sono state tanto piccole cose che per me hanno significato tantissimo, e tante persone per cui sono e sarò sempre infinitamente grato.

Toniomù Ricerca artistica

F.C. Cosa cerchi attraverso le forme d’arte che utilizzi?

T. Questa domanda mi mette un po’ in difficoltà. Non saprei tracciare una mappa coerente soprattutto per il fatto che il mio è un percorso artistico iniziato davvero in tempi recenti.

Penso che, soprattutto nei primi lavori, si veda l’immaturità di qualcosa in evoluzione. Ci sono varie componenti: c’è certamente qualcosa di nuovo che esce da me, ma anche tanta pura esercitazione e sperimentazione da “prima volta” e voglia di colmare le grandi lacune tecniche di partenza, oltre che il puro cazzeggio, svago e curiosità.

In certi prevale più una componente di queste e in certi un’altra, direi che dipende dal singolo lavoro.

In generale direi però che la mia non è mai stata una ricerca artistica, l’arte è un qualcosa che ho sempre trovato. Se c’è una cosa di cui mi sono reso conto nel tempo è che l’arte più la cerchi razionalmente più scappa via, non posso essere io a decidere cosa voglio cercare e indirizzarla lì con facilità.

Cerco sicuramente bellezza e leggerezza per le cose brutte, qualsiasi esse siano, che siano dentro la mia testa o nel mondo di fuori. Ma non bellezza nel senso di gretta riqualificazione estetica che ogni giorno ci spacciano per tale, ma quella cosa che cura, che salva, che restituisce speranza, che per De Andrè era così preziosa come il vino e così gratis come la tristezza, che Fibra si spruzza in vena contro i lavori di merda in città e che per Neffa è la dopa in cui trova la sua cura.

Poi il modo in cui uno la trova è imprevedibile, per me anche solo sparare una bella cazzata che fa ridere un amico angosciato è una gratificante forma d’arte performativa.

Il piano concettuale delle sue opere

F.C. C’è una parte nella tua ricerca artistica di cui vorresti parlare in particolare?

T. Proprio per il fatto che non saprei tracciare una “singola ricerca” distinta dalle altre nel mio lavoro, mi tocca andare un po’ più sul piano concettuale. E qui mi riallaccio alla domanda due: perché mi piaceva tanto il rap e in particolare Massimo Pericolo?

Perchè con poche frasi, con linguaggi semplici, impattanti e universali spezza le catene. Libera, è un canto triste, rabbioso e liberatorio, ma una rabbia e una tristezza che non rinunciano alla dolcezza, alle carezze, alla debolezza umana e alla speranza.

Quelli che ci hanno sempre detto essere cattivi sentimenti da reprimere o al massimo da “incanalare perbene e produttivamente” diventano strumento di liberazione, e questo è molto politico. Chiaramente con le arti visive la cosa si fa più sfumata, in molti miei tipici lavori non c’è un’esplicita rabbia, messaggio o denuncia in senso stretto, per come li ho vissuti io nel farli è più un disordine di elementi grezzi e bidimensionali che presi singolarmente potrebbero essere
vuoti, indifferenti o rancorosi, ma che messi tutti insieme per me trovavano una vitale quiete nella quale chiunque guardi possa in qualche modo trovare il proprio spazio.

L’arte è una forma di riscatto attraverso la bellezza, come dire “hey guarda, rendo bello ciò che tu mi hai sempre detto essere un qualcosa o un qualcuno di brutto, schifoso, cattivo, irrecuperabile e da evitare. Poba!”.

Potenziale terapeutico dell’arte

Ed è proprio per questo che credo fermamente nel potenziale terapeutico dell’arte, credo sia curativa e che non debba essere monopolio di nessun mercato, circuito o élite, ma che il poter generare bellezza con le proprie mani, la propria voce, o il proprio corpo debba smettere di essere considerato come semplice hobby o passatempo, ma come un diritto per il benessere e la libera espressione di ogni individuo.

E non si può partire dall’illusione di poter essere solamente tu a produrre bellezza per gli altri, perché se è vero che essa sta negli occhi di chi guarda, sta anche e soprattutto nel cuore di chi la crea e proprio in quel momento di consapevolezza di averla creata.

E’ certamente un’energia molto attiva e interattiva che resta tale anche quando ci sembra di recepirla “passivamente” (ed è per quello che possiamo essere ispirati e toccati profondamente da altre opere d’arte), ma che secondo me sprigiona tutta la sua forza quando nasce attivamente dall’individuo in quanto parte di sè.

Concludendo, se la mia si può chiamare ricerca, allora un punto importante a cui penso di essere arrivato è stato la reale consapevolezza della potenza terapeutica e liberatrice del generare un atto artistico, e la voglia di approfondire e condividere questa scoperta.

Mercato e lavori di cui andare fieri

F.C. Qual è il tuo rapporto con il mercato?

T. Mai avuto rapporti con il mercato, poi in particolare quello libero mi sta proprio sulle scatole. Però ho un ottimo rapporto con il mercato di Porta Palazzo di Torino in cui infatti ho ambientato uno dei lavori di cui vado più fiero: “Limoni di portapalazzo”.

Chiaramente bella anche per il mercato di via della Musica a Quartu.

Consigli per i giovani artisti

F.C. Cosa consiglieresti ad un artista che vorrebbe vivere d’arte?

T. Non saprei, anche perché parlando personalmente ho deciso di intraprendere una strada che non prevede l’arte in senso stretto come fonte di guadagno e sostentamento.

Quest’anno ho iniziato il percorso di studi in educazione professionale per lavorare come educatore sociosanitario in futuro, contando comunque di non abbandonare mai l’arte e di integrarla a pieno anche in questo lavoro.

Gli direi però di non averlo come chiodo fisso, cioè se ci si riesce è una cosa bellissima, ma prima di pensare a vivere di arte gli direi di pensare prima a imparare a vivere con l’arte: che diventi compagna di successo e sventura, di decisioni importanti e di cazzate quotidiane, di risate e miserie.

E se tu vivi bene con lei, lei vivrà bene con te senza avere bisogno di avere per forza soldi in cambio.

E non lo dico per fare il romanticone, lo credo davvero.

Instagram: https://www.instagram.com/toniomou/
Youtube: https://www.youtube.com/channel/UCEvcFnoSZi-DPYlrpDuk0Sw

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Francesco Cogoni.

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