INTERVISTA A VLADYART
Quando e come nasce il tuo percorso artistico?
Il mio percorso artistico ha due radici distinte.
Una, è di famiglia.
Mio padre frequentò l’accademia indirizzo scultura.
Fin da bambino lo vidi dipingere e modellare.
In casa avevo molti libri.
Così decisi anch’io di studiare arte, prima all’istituto d’arte di Catania e poi all’Accademia delle Belle Arti di Milano.
L’altra radice è più mia, individuale e intimista.
In tempi non sospetti, circa una dozzina di anni fa, senza nessun contatto o alcuna idea, mi misi a dipingere in giro.
Intendevo fare qualcosa che potesse avere un seguito, non finire per essere archiviata.
E non parlo di graffiti.
Io ho iniziato direttamente dalle cose di città, ad assemblare, sabotare, scrivere e trasformare l’ambiente urbano.
Questo mi ha permesso di non avere nessun debito e di non vergognarmi a “tradire” nessun ambiente.
I graffiti rimangono tuttavia di forte influenza culturale per me.
Da ragazzino alle medie anche io marcavo ogni cosa nel mio quartiere con una mia tag.
Non mi avvicinai mai allo stile hip pop delle scritte perché io ascoltavo principalmente rock (The Cure, The Smiths, Pixies, Pylon…) e quei due mondi non si erano allora ancora ibridati.
Quali persone, artisti ed episodi hanno influenzato maggiormente il tuo lavoro?
Non so a chi possa interessare davvero e poi eviterei di fare nomi, ma ritengo sia giusto rispondere alle domande senza essere vago.
Facevo già sparuti interventi pittorici e piccole modifiche (per esempio ai cartelli stradali) ma un certo salto l’ho fatto solo dopo essermi confrontato e di conseguenza appassionato con un mondo che prima sconoscevo, con i miei colleghi e i portali di riferimento.
Senza scambio non ci sarebbe stata crescita.
Un artista italiano non troppo sulle cronache, Elfo, mi ha molto influenzato.
Tutti gli scambi sono in realtà a doppio senso.
Ma è grazie a lui che mi sono avvicinato a taluni siti, correnti e “caposcuola”.
Ed Elfo è forse il solo che si mostrò contento per me quando questi siti cominciarono a prendermi più sul serio, a recensirmi e seguirmi ancora prima che io li tampinassi di e-mail.
Queste per me sono cose che contano.
C’è parecchia ipocrisia nel mio ambiente; i complimenti per il buon lavoro non te li fa quasi nessuno; le accuse di plagio invece sono molto più puntuali e arrivano spesso da chi le ha a sua volta subite da altri.
Elfo non ebbe solo un grosso impatto su di me, ma anche su Biancoshock e altri amici, che saluto.
La nostra tipologia d’interventi (mia e di Biancoshock) si è spesso sovrapposta e anticipata vicendevolmente ma questo è solo il frutto di aver avuto gli stessi riferimenti, artisti e portali (Ekosystem, Rebelart, Urbanshit). Nessun paragone tuttavia, lui ha un appeal sul pubblico e sui media decisamente maggiore. I miei riferimenti sono tantissimi e altrove, ma J. Fekner, H. De Hoop, Helmut Smits e Brad Downey spiccano su tutti.
Per il resto, non credo che debba fare altri nomi, tra gli artisti.
Nessun’altra influenza diretta e nessun aiuto.
Aver vissuto in Sicilia devo ammettere che non mi ha agevolato.
La distanza è stata penalizzante, ho iniziato a farmi vedere solo di recente.
Per prendermi una birra con gli altri mi tocca prendere un aereo!
Cosa cerchi attraverso l’arte?
Non mi pongo mai questa domanda.
Per me ciò che faccio è un’estensione del mio umorismo, del mio sarcasmo, del mio essere nichilista e critico.
Non sono un pittore, sono una voce.
L’arte mi aiuta a digerire meglio la banalità e la conformità delle giornate, della società.
Io una vita dettata dai ritmi 9-17 lavoro e poi spesa, cena e letto, non riesco a farmela bastare.
Sono emotivamente irrequieto e credo che essere artista sia una condizione che non si può scegliere ma che ci si ritrova addosso.
C’è una parte della tua ricerca di cui vorresti parlare in particolare?
Potrei benissimo non farla sta benedetta ricerca.
Avere un puppet, stamparlo all’infinito in giro.
Potrei anche fare sempre le stesse cose, gli stessi interventi, nel mondo.
Ma mi annoio.
Appunto, la ricerca è continuare a scoprire, lanciare e rilanciare.
Significa osare, può andare bene e può andare male.
Tante cose che ho fatto non hanno avuto alcun successo “di pubblico”.
Sono soggetti poco fotogenici e poco fruibili dai social.
Viralità zero.
La gente cerca una street art facile da capire ma io non produco per la gente cose facili, necessariamente.
Quindi poco mi frega.
Tutti gli interventi in cui credo sono raccolti sul mio sito sotto “prjcts”.
A tutti questi do la stessa importanza.
Qual’è il tuo rapporto con il mercato?
In Italia c’è assai arte in strada ma pochi artisti di strada hanno un vero mercato.
Ecco perché nonostante alcuni siano più conosciuti di altri, in realtà non ci separa un mare troppo grande.
Chi fa ricerca, chi non fa estetica e chi non si esprime sul bidimensionale, trova parecchie porte chiuse.
La mia espressione da’ il meglio di sé all’aperto.
Una scritta nello spazio assume un valore che sulla carta o in cornice non può avere.
Il mio rapporto con il mercato è poco significativo.
Alcuni curatori lo hanno capito e mi hanno valorizzato per quello che faccio.
Altri non lo hanno capito, anzi, non riuscendo a individuare il prodotto, mi hanno snobbato.
Giusto, la mia arte non è un prodotto.
Può esserci, ma tendenzialmente è una situazione.
Cosa consiglieresti ad un artista che vorrebbe vivere d’arte?
Andare a lavorare.
Prima regola del vivere da artista: non cercare di vivere da artista.
Altrimenti dai il culo al mercato e alla logica del commerciale per pagare il mutuo.
Non sempre questo scambio produce tesori.
Vedi nella musica.
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Francesco Cogoni.