Intervista ad Alberto Terrile: la fotografia come rivelazione
Intervista ad Alberto Terrile (Genova – 11 marzo 1961) è un fotografo creativo free-lance con oltre quarant’anni di esperienza. Attivo nei settori editoriale, pubblicitario e dello spettacolo, è specializzato nella ritrattistica. Ha vinto il 1° premio nazionale Progresso Fotografico nel 1989 ed è stato insignito due volte dello standard di eccellenza al Kodak European Gold Award. Ha collaborato con importanti case editrici (Einaudi, Zanichelli, Mondadori, Giunti, Lietocolle, Sugar) ed è noto in Italia e all’estero per il suo work in progress sul tema dell’Angelo nella contemporaneità, promosso nel 1995 da Wim Wenders. Ha esposto in sedi prestigiose, come il Museo del Petit Palais di Avignone, e nel 2005 è stato il primo artista italiano a stampare su marmo alleggerito. Ha pubblicato 4 libri e svolge un’intensa attività nel campo della fotografia etica. Attualmente è titolare della cattedra di Fotografia all’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova.

Il percorso artistico di Alberto Terrile
Quando e come nasce il tuo percorso artistico?
A tre anni con una fotocamera giocattolo di plastica chiedevo ai miei parenti di mettersi in posa perché volevo fare loro una “CROBATIA” (non sapevo ancora pronunciare la parola fotografia).
Non una macchinina, non una pistola o un triciclo ma una finta macchina fotografica fu il regalo.
Era un destino segnato.
In realtà, sin da piccolo, avevo vocazioni pittoriche che poi si indirizzarono sui debiti insegnamenti.
Studiai al Liceo Artistico dal 1975 al 1979 e successivamente mi diplomai in Pittura all’Accademia Ligustica di Belle Arti nel 1983.
I primi esperimenti fotografici sono però riconducibili al 1979 in contemporanea con il mio lavoro pittorico.
Quanto realizzai con una fotocamera presa in prestito, sebbene fossero balbettii fotografici, mi indusse interrogarmi sull’oggetto prodotto per poi iniziare a indagare con forza la fotografia partendo dal ritratto.
Attribuisco una grande importanza nel creare una relazione con il prossimo.
“Amare la fotografia significa avere cura del tempo. Il nostro tempo e quello dell’Altro”.
Le influenze artistiche nel lavoro di Alberto Terrile
Quali persone, artisti ed episodi hanno influenzato maggiormente il tuo lavoro?
Per certo, il primo e vero “Maestro” fu l’artista visivo Stefano Grondona che mi diede le basi e gli strumenti per rendermi autonomo nello sviluppo e nella stampa “fine art” delle mie immagini. Stefano fu però un grande maestro di “Visione” con un approccio personalissimo e molto particolare.
Quanto mi ha fatto sperimentare è il tesoro che custodisco. Il suo concetto di “punto di visuale” era sui generis per l’epoca e ha dato un grande imprinting al mio modo di rapportarmi con lo spazio e la corporeità.
Sin da giovanissimo ho fatto bagaglio di aneddoti e consigli da artisti come lo scultore Lorenzo Garaventa, allievo di Eugenio Baroni, o Michelangelo Barbieri, anche lui scultore che aveva studiato con Oskar Kokoschka.
Gli artisti che mi hanno influenzato provengono però spesso da altre arti. Ne citerò alcuni:
- Cinema: Ingmar Bergman, Carl Theodor Dreyer, Stanley Kubrick, David Lynch, Wim Wenders, Agnès Varda.
- Arte: Caravaggio, Piero della Francesca, Rembrandt, Hubert e Jan van Eyck, Man Ray, Marcel Duchamp, René Magritte (il suo quadro “Il terapeuta” è stata la prima fonte iconografica d’ispirazione per il mio lavoro sulla figura dell’Angelo).
- Fotografia: Fox Talbot, Richard Avedon, Arno Rafael Minkkinen.

La visione artistica: cosa comunica la fotografia secondo Terrile
Cosa vuoi comunicare attraverso l’arte della fotografia?
Intendo l’Arte come custodia della bellezza del Creato.
Sant’Agostino afferma nel De Vera Religione che la bellezza di Dio fa belle tutte le cose, le quali, confrontate a Dio, risultano brutte, evidenziando anche come l’invisibile emerga come ragione del visibile.
L’arte figurativa, che si pone il compito di scrutare la profondità del creato, può rintracciare in esso il Creatore.
L’apparecchio fotografico come una maschera, copre il volto e crea la giusta distanza tra l’occhio e quella realtà che la fotografia trasforma. Tutto è possibile grazie a una visione interiorizzata e vicina all’Anima: guardare con gli occhi del cuore le cose per poi “riscriverle” attraverso il proprio sguardo.
Quando ritraggo, la mia tensione è rivolta a “vedere” al di sotto di tutto ciò che vive per cogliere ciò che agli occhi non appare. Questo è un paradosso visto che, sin dalla sua nascita, la fotografia venne salutata come la téchne che avrebbe finalmente restituito un’immagine oggettiva delle cose.
Fotografare significa in qualche modo mutare di forma ciò che si fotografa; e non tanto quella dell’oggetto visibile, che è un corpo, che è materia, ma trasformare la forma di quell’invisibile che lo sottende, e che emerge attraverso il processo di ri-velazione.
Ri-velare: scoprire ciò che era velato, fuori vista, segreto.
“Rendere visibile l’invisibile” disse Paul Klee.
Quando fotografo cerco di cogliere l’essenza delle cose e delle persone attraverso le forme del mondo.
Ciò che declino è il delicato equilibrio tra l’apparire e l’essere, tra l’esterno e l’interno di ogni essere vivente.
I progetti più importanti di Alberto Terrile
C’è una parte della tua ricerca a cui tieni in particolare?
Tutte le fotografie che da oltre quarant’anni scatto hanno la loro importanza, il loro motivo di essere.
Il lavoro sul tema dell’Angelo è per certo il work in progress che mi ha fatto conoscere in parecchie parti del mondo e ha generato tre libri, innumerevoli mostre in Italia e all’estero e pubblicazioni.
I tre libri:
- 1998 Sous le signe de l’Ange, edizioni Petit Palais
- 2008 Nel Segno dell’Angelo 1991/2008, edizione limitata di 1000 esemplari per il Festival della Scienza di Genova
- 2012 Sous le signe de l’Ange, Jacques Flament Editions
C’è poi tutto il lavoro legato alla fotografia etica e le realtà difficili: RSA e invecchiamento attivo, comunità transgender genovese, disabili della comunità di Coronata, Parkinson, anoressia.
La ritrattistica, dopo decenni dedicati a divi e personaggi dell’Arte, ora si è fatta ancor più antropologica, indagando la morfologia della razza appenninica, progetto al quale ho iniziato a dedicarmi quindici anni fa.
Il rapporto di Alberto Terrile con il mercato dell’arte
Qual è il tuo rapporto con il mercato?
Alle autostrade preferisco le strade bianche e i viottoli di campagna. Mi considero un outsider per vocazione.
Ho gestito prevalentemente in solitaria il mio operato fotografico appoggiandomi a due sole gallerie, per poco tempo in oltre trent’anni.
Non amo granché il mercato e i mercanti, amo esser libero di decidere i formati e le tirature così come la programmazione delle mie mostre.
In modo forse romantico e poco contemporaneo credo che si debba mostrare il lavoro quando è il momento giusto, non altrimenti. Non sono per l’Arte brandizzata.
Faccio quindi tutto da solo, tengo personalmente i contatti con le realtà espositive prediligendo abbazie, musei e spazi alternativi rispetto alle più classiche gallerie.
Consigli per i giovani artisti
Cosa consiglieresti a un giovane che vorrebbe vivere di quest’arte?
Sono pragmatico oggi più che mai, avendo compiuto sessant’anni, e dico in totale onestà:
“… non si vive di arte, al massimo ci si nutre di arte!”
Dovremmo imparare a guardare di più e fotografare di meno!
Dobbiamo nutrirci di cultura per contrastare l’appiattente abbrutimento delle cose, questo mondo globalizzato, spersonalizzato e seriale, saturo di immagini che si schiantano ovunque alla velocità della luce producendo noia e “un rumore bianco”!

Francesco Cogoni.
https://it.wikipedia.org/wiki/Alberto_Terrile
https://www.instagram.com/albertoterrile
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