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Intervista alla compagnia Ferai Teatro

 

Come nasce Ferai Teatro? da chi è composta?

Ferai nasce nel 2007 dall’esigenza di un teatro nuovo, frutto del bisogno di esprimersi e non dei contributi pubblici.

All’inizio Ga’ e Andrea Ibba Monni, poco più di quarant’anni in due e tanta voglia di fare a modo loro.

Dopo quasi tredici anni Ferai è composta da una compagnia teatrale di oltre dieci anime, tutte under 40 e tutte figlie del tempo presente.

Di cosa vi occupate nello specifico, quali sono le vostre attività?

Produzione, scrittura, regia, scenografia, promozione, insegnamento, recitazione, intrattenimento e tutto ciò che riguarda l’arte teatrale sotto ogni aspetto: non c’è nulla in Ferai che non sia creato da Ferai. 

Com’è cambiata la vostra realtà a causa della quarantena? ho letto della raccolta fondi, a cosa sono destinati in sostanza?

Le produzioni sono bloccate, così gli spettacoli in programma, gli open mic e le lezioni della scuola “Il Mestiere dell’attore” con le relative dieci classi ferme.

La raccolta fondi serve a coprire le spese d’affitto e le utenze della Silvery Fox Factory che sono sempre state coperte dalle attività della compagnia.

Cosa vi distingue da altre realtà del mondo del teatro?

Siamo tra le pochissime compagnie teatrali professioniste e professionali non finanziate dalla pubblica amministrazione ma autofinanziate e sicuramente la più attiva.

Siamo l’unica realtà isolana a formare e professionalizzare le persone.

Siamo giovani, dinamici e raccontiamo ciò che accade; come compagnia siamo gli unici ad esempio a fare performing art in Sardegna.

Da quello che ho capito la vostra compagnia si è sempre sorretta con la forza del pubblico e di chi crede e cresce attraverso i vostri corsi ed i vostri spettacoli, ma in un momento come questo, lo stato non dovrebbe avere delle responsabilità nell’aiutare a far sopravvivere finanziariamente realtà come la vostra? non sarebbe giusto pretendere un supporto da apparati preposti a tutela di realtà come la vostra?

Nasciamo dalle ceneri di quel mondo teatrale ampiamente finanziato e sovvenzionato senza ritegno e senza criterio.

Nasciamo proprio perché quel teatro grasso ha pensato più a prendere i contributi che a farli fruttare producendo arte.

Siamo sempre stati orgogliosi del fatto che i nostri spettacoli si sono sempre finanziati a cascata (lo spettacolo precedente finanzia il successivo e così via) perché significa che il pubblico crede in ciò che facciamo: abbiamo preferito continuare a migliorare come artisti che come compilatori di rendiconti finanziari.

Non per snobismo ma per paura di diventare pigri come gli esempi che abbiamo avuto.

 

Cosa vi aspettate per il futuro? siete tra quelli che si indignano, che sperano o che si organizzano?

Siamo chiamati al coraggio, siamo obbligati all’imprudenza.

Saremo folli. Faremo di tutto per non soccombere perché abbiamo ancora bisogno del teatro. Abbiamo bisogno di combattere contro il potere e l’iniquità.

Siamo orfani e reietti, siamo i “diseredati che piantano radici nel cielo” come dice Eugenio Barba.

Non abbiamo mai chiesto l’elemosina e non cominciamo oggi né domani.

Non siamo importanti per nessuno: abbiamo solo l’atavica necessità di fare arte e una feroce ostinazione. Non siamo addomesticabili. Abbiamo l’opportunità di fare l’ennesimo bagno d’umiltà, di guardarci dentro invece che attorno.

Dice ancora Eugenio Barba: “Nessuno ci ha obbligato a scegliere il teatro.

Noi che siamo spintonati da questa necessità dobbiamo rimboccarci le maniche e dissodare il giardino che nessuno ci può togliere.

Qui crescono il verme che ci rode dentro, la fame di conoscenza, i fantasmi che bisbigliano all’orecchio, la voglia di vivere con rigore la finzione di essere libero, la capacità di trovare persone che siano stimolate dal nostro agire.

Dissodare, giorno dopo giorno, al di fuori delle categorie accettate e dei criteri riconosciuti. Anche se il teatro che facciamo è l’urlo di una bestia evirata o il gorgoglio del garrotato.”

Siamo quelli che si evolvono. Siamo l’aria del respiro, il fiato delle emozioni, il fruscio del sipario.

Danziamo con il turbine che spinge l’onda, vi raccontiamo l’urlo della tempesta. Chiamateci attori, funamboli, oracoli, ciarlatani…

dateci il nome che volete: noi siamo il vento.

Ci tengo a condividere inoltre il link alla raccolta fondi per sostenere la loro compagnia, ogni contributo può fare la differenza, aiutaci a sostenere questa realtà artistica, unica nello scenario artistico Sardo.

http://www.ferai.altervista.org/sostieniferai.html?fbclid=IwAR0BDCRAix1CQsTMN6H_5EN2wMuVN0NDC7ydv4lCjTK25tlESMfjgsvz_yY

Francesco Cogoni.

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