Interviste

INTERVISTA A CARLO CONGIA

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Quando e come nasce la tua passione per la scrittura?

Innanzi tutto lasciatemi congratulare con la vostra straordinaria fortuna.

Sappiate che siete i primi ad assicurarvi l’intervista con il maggiore scrittore contemporaneo (vivente e non).

Dovete ciò sicuramente alla spaventosa ignoranza che imperversa nel mondo della critica e del sedicente giornalismo.

Per quanto riguarda la domanda, al contrario dei miei colleghi, devo confessare di essere stato uno scrittore un po’ precoce.

Il mio primo scritto, pensi, risale a quando non avevo neanche un giorno.

Infatti ero ancora nella placenta di mia madre.

Sento spesso molti sedicenti scrittori lamentarsi della difficoltà di scrivere, della fatica della scrittura.

Dovrebbero immaginarsi invece quante difficoltà ci siano nello scrivere prima ancora di essere venuti alla luce.

Primo, appunto, il buio.

La dentro, tra l’altro, non arrivava neanche l’wi-fi.

Per non parlare poi della difficoltà di trovare l’inchiostro.

In sostanza io e il mio primo libro siamo stati sgravati in contemporanea.

la levatrice, perplessa, si trovò con il mio manoscritto in mano, senza saperne che fare.

Quali scrittori hanno influenzato maggiormente il tuo lavoro?

Più che parlare dei pochi scrittori che io ho citato nei miei libri (quello son bravi a farlo tutti e non ci vuole grande ingegno) mi piacerebbe invece parlare degli scrittori che mi hanno citato.

Sono abbastanza orgoglioso di poter annoverare fra essi anche qualche classico, uno per tutti il Manzoni.

Nel promessi sposi, per esempio, mi cita chiaramente in uno dei due bravi che appostano Don Abbondio proprio nell’incipit del romanzo.

Borges parla spesso di me nel suo epistolario (pur senza citarmi apertamente) e Stephen King si è ispirato chiaramente a me nella creazione di molti suoi personaggi e in molte trame.

Non vorrei vantarmi ma tutte le idee di Stephen non sono altro che miei suggerimenti.

Glieli passo via telepatica, tecnica che possiedo ovviamente a livelli professionali.

Anche se non vado in giro per talk show a vantarmene.

Cosa cerchi dalla scrittura?

Io, al contrario di alcuni che dicono di voler cercare un qualsiasi “centro di gravità permanente che non li faccia mai cambiare idea sulle cose sulla gente”, nella scrittura cerco cose più semplici.

Non mi faccio illusioni in proposito.

Sono un tipo molto pragmatico e realista.

Ad evitare delusioni, so che nei libri si possono cercare solo certe cose.

Per esempio tarme della carta, macchie di umidità, qualche vecchio foglietto con l’appunto della spesa e – se si è molto fortunati – qualche cartolina come segnalibro.

Ma sopratutto molta polvere.

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C’è una parte della tua ricerca di cui vorresti parlare in particolare?

Concordo con il mio maestro Macedonio Fernandes, che non esista altro argomento per la letteratura oltre la metafisica.

Ci terrei quindi molto a esporvi la mia teoria sul tutto.

Noi crediamo che ciò che vediamo, per esempio questo microfono, sia reale.

Ci inganniamo.

Ma ci inganniamo anche sul nostro esserci.

Ossia crediamo di esistere realmente.

In realtà è tutto un sogno, come dice Lao Tzè.

Siamo della stessa sostanza dei sogni, come dice qualche altro inglese.

Io, dopo anni e anni di analisi psicoanalitica, ho scoperto di essere il sogno nella mente di Sig. Tizio, nel giugno del 1635 dopo una cena a base di peperonata.

Sono, dunque, nient’altro che un suo personaggio.

Il segreto della vita sta tutto qui.

Noi crediamo di essere vivi, di avere una nostra volontà, invece non siamo altro che dei personaggi nella mente di qualche dio o di qualche scrittore di quarta categoria.

Conosco molti, per esempio, che non sanno di essere dei personaggi di Fabio Volo e vanno per il mondo convinti di essersi “fatti da sé”.

Qual’è il tuo rapporto con le case editrici e che possibilità ci sono di emergere per un giovane scrittore?

Emergere da dove?

Questo è il punto.

Per fortuna, come ho già specificato prima, io sono uno scrittore già emerso.

Sono emerso scrittore da mia madre.

Io appena nato non avevo i ridicoli riccioletti che si vedono nei neonati, avevo direttamente la corona d’alloro in testa.

Alla levatrice, infatti venne il dubbio che mia madre covasse in seno un maialetto già condito con le foglie di mirto.

Quindi emergere credo sia una ricompensa per il comportamento virtuoso tenuto nella vita precedente.

Io l’ho meritato, modestamente.

Per quelli che ci tentano con tutti i mezzi, ho un atteggiamento che può essere riassunto da una precisa interiezione.

HAHAHAHAHAHA.

Riguardo al mio rapporto con le case editrici, poi, devo confessare che mi hanno rotto i cogl…i cosidetti.

Mi tempestano di richieste perché conceda loro anche gli scarti della mia produzione.

Telefonano ad ogni ora del giorno o della notte e cercano di fregarmi dicendo che sono persone che hanno sbagliato numero oppure dei call center che vogliono propormi fantastiche offerte.

Ovviamente io li chiudo subito il telefono in faccia.

Non se ne può più.

Perché le case editrici devono scassare così tanto la minkia a noi scrittori? Non basta loro di stampare 60.000 libri al l’anno? Sono dei drogati!

Io penso che la crisi della letteratura, in Italia, derivi proprio dal fatto che noi scrittori, a furia di essere infastiditi quotidianamente da questi cosiddetti editori, perché li si dia qualsiasi tipo di cosa da pubblicare, ci impedisca di produrre delle opere valide.

Cosa consiglieresti ad uno scrittore che vorrebbe vivere di questo lavoro?

Per prima cosa di farsi vedere da uno bravo.

Ovviamente non intendo da uno scrittore bravo, ma da un bravo studioso di disturbi psicologici legati all’immaginazione.

Perché dico questo?

Prima di tutto perché mi piace dirlo e secondo perché sarebbe da folli sperare di poter vivere di sola scrittura.

Se fosse stato possibile, non sarei forse ricchissimo?

Per fortuna io non scrivo per soldi o per denaro.

A pensarci bene non scrivo neanche per essere famoso o per essere ricordato o ammirato.

Quindi perché scrivo?

Spesso mi sono rivolto questa domanda.

E alla fine ho trovato la risposta.

Scrivo perché è un modo facile per essere intervistato e per poter così rispondere alla domanda classica:

“perché scrivi?”

dicendo che scrivo per poter essere intervistato e rispondere alla domanda

“perché scrivi?”

rispondendo… etc etc.

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Francesco Cogoni.

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