INTERVISTA A FABRIZIO ARA
Quando e come nasce il tuo percorso artistico?
Nasce circa 5 anni fa, presi la mia prima fotocamera nel 2011 per fare video di Longskate, lo sport che praticavo, un giorno la portai a un concerto, suonavano gli Adolescents e aprivano i Raw di Cagliari,
incuriosito e affascinato per la prima volta mi improvvisai fotografo e iniziai a vedere la fotografia in modo differente, poi tutto il resto è evoluzione naturale.
Quali artisti hanno influenzato maggiormente il tuo lavoro?
Direi nessuno, non amo guardare foto altrui e tantomeno essere influenzato, vorrei che venisse tutto fuori dalla mia testa, ascolto invece molta musica che mi è parecchio di ispirazione.
Cosa cerchi in arte?
Cerco di rappresentare il mio modo di vedere, di rappresentare un realtà distopica, triste, impersonale, senza volto e senza colori; amo le nuvole, la nebbia, il mare mosso, le spine, insomma elementi che nella quotidianità non richiamano a sentimenti positivi.
C’è una parte della tua ricerca di cui vorresti parlare in particolare ?
Come dicevo prima, faccio il possibile affinché le foto siano impersonali, le persone fotografate non hanno mai un volto, chiunque potrebbe essere il soggetto, allo stesso tempo fotografo solo persone a me care o, come spesso succede, me stesso, vorrei che la foto fosse apprezzata nella sua interezza non per il soggetto.
Qual’è il tuo rapporto con il mercato?
Abbastanza distaccato, mi capita di vendere qualche stampa, soprattutto foto dei concerti, ma di rado.
L’aspetto della mia evoluzione fotografica che preferisco è invece la collaborazione con le band per la creazione di copertine dei dischi, set fotografici o locandine, vedere il mio materiale scelto per delle opere che lasceranno un segno indelebile è per me la soddisfazione più grande.
Cosa consiglieresti ad un artista che vorrebbe vivere d’arte?
Non penso di poter dare una risposta perché non vivo d’arte né vorrò vivere di arte, per me è una valvola di sfogo dalla quotidianità, se diventasse la mia professione, smetterebbe
di esserlo.
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Francesco Cogoni.