ArteInterviste

Intervista a Feny Parasole

Quando e come nasce il tuo percorso artistico?

 

Il mio percorso artistico nasce con me, nel senso che fin da piccola disegno in continuazione ovunque diventando, da adolescente, il tormento di mio padre costretto a cambiare continuamente il pannello di tappezzeria adiacente al telefono.
Lo scarabocchiavo mentre parlavo.
Capii solo nel 2004 cosa fossero quei tratti, quando alcuni quadri li riportarono a colori.
Non mi fu permesso il liceo artistico e, di conseguenza, mantenni il bisogno di disegnare solo come spazio ludico dedicandomi con passione ai disegni in bianco e nero e alla riproduzione del reale in maniera ossessionata dal dettaglio.
Fu solo nel 1992 però, che iniziò la mia strada artigianale diventando ceramista.
Come tale riproducevo ceramiche artistiche italinane, riservandomi spazi artistici nei tempi liberi.
Nel 2002 per un errore dell’organizzazione di una esposizione chiamata Restructura, a Torino, mi ritrovai ad avere uno spazio minimo in cui solo la mia parte artistica poteva rappresentarmi degnamente e, partecipando al concorso in estemporanea con quello spirito, vinsi il primo premio con la scultura intitolata “libero l’anima”.
E’ stato solo nel 2013, però, che considero realmente iniziato il mio percorso artistico quando, al salon des refusès di Bra (cn) Vittorio Sgarbi mi selezionò con altri quattro artisti.
Rimasi stupita domandandomi se fosse un caso ma, vista la levatura del Critico, ho deciso di mettermi in gioco in alcune importanti Città italiane come Palermo, Roma, Milano nonché sul web, per verificare la rispondenza al mio lavoro di altri nonché del pubblico.

 

Quali persone, artisti ed episodi hanno influenzato maggiormente il tuo lavoro?
Le persone che hanno influenzato di più il mio percorso artistico sono state certamente tutte le persone che vedevo felici nel dipingere.
Scorgevo in loro gli occhi che brillavano di una luce che mi faceva stare bene e che capivo provandola io stessa quando disegnavo.
Dai loro occhi è nato il desiderio di dipingere anche solo ogni tanto per passione pur di poter provare l’emozione degli occhi che brillano di gioia.
Gli artisti sono certamente coloro che realizzavano quadri che, guardandoli da piccina, mi facevano provare il mal di pancia trasmettendomi sensazioni negative.
Mi chiedevo perché avesse dovuto dipingere quelle cose che facevano stare male.
Questo mi porta tutt’oggi a elaborare involontariamente un’impatto delicato anche per sentimenti dolorosi.
Mi ha poi sollevata nei momenti di sconforto, Picasso.
Ho passato anni a sentirmi denigrare sentendomi dire che ero sbagliata e che dovevo cambiare e diventare normale.
Mi rifugiavo tra le immagini della storia dell’arte.
L’Arte mi ha sempre rilassata.
Mi soffermavo spesso su quella di Picasso e, senza accorgermene, guardando i suoi periodi così diversi, ceramiche comprese, mi rasserenavo.
Gli episodi che hanno maggiormente influenzato il mio lavoro sono stati dei committenti che non ho cercato io e chi mi hanno voluta per arredare un bar e una banca o per delle etichette per un vino.
Mi hanno voluta con molta insistenza arrivando ad accettare i miei “paletti” ovvero dove erano più loro ad accettare che io rispondessi alla loro richiesta nel rispetto delle loro necessità, ma a modo mio, piuttosto che adattarmi io alle loro richieste sia estetiche che concettuali.
Io mi limitavo a capire cosa intendevano ottenere come rispondenza dalle persone senza accettare il loro modo ideale con cui raggiungerlo ma imponendo il mio con l’accordo che se non fosse piaciuto mi avrebbero pagato quanto avrebbero voluto loro e non quanto da me richiesto.
Ho sempre avuto il corrispettivo da me richiesto a fine lavoro.
A fronte di familiari che mi imponevano di essere diversa e di diventare normale, loro che mi accettavano per ciò che ero sono stati un forte scossone che mi ha indotta a proseguire senza cedere ai ricatti familiari.
Cosa cerchi attraverso l’arte?
Attraverso l’Arte in generale cerco il benessere.
Ogni forma d’Arte me ne porta e ne ho certamente sete.
Dalla mia arte invece, cerco da anni di capire come mai il buon Dio ha voluto donarmi questo talento.
Cosa pensa io abbia da comunicare con questo mezzo.
Lo scoprirò nei prossimi mesi immagino, quando “produrrò” liberamente i miei quadri per le due personali che farò a Cherasco a Ottobre e Novembre.
Dal 2000 a ieri, cioè prima della Triennale di Roma che ha sdoganato il mio linguaggio neutro come puoi leggere sul mio sito internet, cercavo il mio spazio di libertà.
Ho espresso i miei mille linguaggi estetici senza frenarmi per “vederli” e capirmi nella mia complessità e poi trovare il mio pieno equilibrio.
Ho vissuto una vita intensa e zeppa di soli doveri che hanno piegato il mio fisico in modo importante.
Sono stati i medici, vista la realtà, a indicarmi la mia via per la salute: l’ Arte.
Mi han spiegato che vivendo di soli doveri ed essendo io un vulcano creativo, se non avessi incanalato in modo adeguato le mie potenzialità lasciandole emergere completamente, mi sarebbero implose dentro in modo molto serio.
Ho faticato moltissimo ad accettare questa realtà.
Sono persino andata dallo psicologo cercando una via alternativa con l’unica risposta costante che dovevo imparare ad accettarmi per ciò che sono e farne un buon uso.
C’è una parte della tua ricerca di cui vorresti parlare in particolare?
La ricerca del materiale con cui realizzo i miei pezzi.
Per me la materia è molto importante, è un forte linguaggio.
Ho anche bisogno di sporcarmi le mani. Spesso le uso contaminando il pezzo.
Forse dipende dal fatto di non aver mai avuto a mia disposizione grandi strumenti professionali mentre le mani le avevo a disposizione, non so.
Tuttavia ho capito in questi anni che il materiale che uso è parte integrante dell’opera che vado a creare.
La paragono agli ingredienti in cucina per essere chiara.
Mi servono tutti gli ingredienti per realizzare la giusta ricetta.
Non posso dire la stessa cosa usando materiali diversi.
Ogni materiale mi serve per qualcosa.
Un esempio di questa ricerca è la mia tela dei tre cavalli intitolata “ab imo pectore” ovvero “dal profondo del cuore” in latino.
Per realizzare il cavallo nero centrale, ne ho fatti prima due.
Uno con l’acquerello, l’altro col pastello secco quando ancora ero indecisa sul supporto definitivo da usare per quel soggetto che per me è stata una vera visione.
Ho capito, con quei due pezzi, che solo l’olio su tela 100% cotone poteva descrivere il mio sentire.
Con l’acquerello il cavallo è più allegro, col pastello secco è molto deciso e vintage, con l’olio ha il carattere che sentivo io.
L’ho notato a tela finita.
Non chiedermi come mai mi accade, ma questo è.
Non capisco mai prima i miei motivi di scelta.
Solo dopo, a pezzo ultimato e a titolo assegnato (che di solito sgorga spontaneo) capisco.
Prima decanto come il vino e poi assaporo i miei perché ed è sempre molto bello trovare me stessa attraverso il mio lavoro.
Quindi è una ricerca indispensabile ma assolutamente spontanea.

Qual è il tuo rapporto con il mercato?

 

Il mio rapporto col mercato a oggi è fermo artisticamente.
Procedo nel lavoro presso la corniceria che ho insieme a mia figlia geometra e al mio compagno lasciando spazio ad altri artisti perché io a oggi devo ancora capire come intendo inserirmi.
Per spiegarmi: fino ad oggi ho dipinto in salotto, senza possedere un solo cavalletto.
Dipingo appoggiata a terra piuttosto che sul tavolo oppure sposto un quadro per appendere la tela.
Non ho uno spazio mio e l’organizzazione è certamente alla base di un inserimento serio sul mercato.
Sto pensando di crearlo e solo una volta avuto il mio studio credo che spontaneamente arriverà la scelta di mercato.
Potrei dedicarmi a solo un linguaggio fra tutti oppure sceglierne almento tre, non so.
Dipende da cosa realizzerò nei prossimi mesi la scelta di mercato che farò.
Anche quella va studiata si, ma deve essere aderente al mio autentico sentire per essere efficace.
Credo nell’autenticità e non intendo perderla visto quanto ho lottato per l’autorizzazione ufficiale a viverla.
Nessun mercato potrà incidere su questo aspetto, ma troverò la via ora che sono arresa e finalmente decisa a fare dell’arte il mio pane quotidiano.
Cosa consiglieresti ad un artista che vorrebbe vivere d’arte?
Questa domanda mi imbarazza.
Poiché io di certo non vivo d’arte non saprei davvero cosa consigliare.
Mi sento solo di descrivere ciò che ho scelto io per me stessa.
Quando mi sono messa in gioco ponendomi al vaglio dei più importanti critici italiani, l’ho fatto ben consapevole che mi sarei potuta ritrovare respinta, che mi sarei dovuta confrontare con colleghi che avrei potuto scoprire di vivere come concorrenti e ritrovarmi obbligata a vedermi molto meno capace di altri.
Mi sono chiesta se ero pronta a questo smacco e la risposta è sempre stata si.
Ero certa di non cercare gloria o successo.
Sapevo con assoluta serenità che il mio unico obiettivo era capire in che ambito mi era congeniale e spontaneo lavorare mettendo a frutto il dono artistico che mi è stato imposto.
Sono stata operaia, commerciante, artigiana e ora sono in ambito artistico.
La filiera la conosco e so ricordare bene quanta soddisfazione mi ha dato realizzare in serie 240 bomboniere da 35.000 lire l’una o servizi di piatti da dodici pezzi dipinti sotto e sopra per la cifra di 8.000.000 di lire.
Erano rispettivamente un lavoro più seriale e uno assolutamente fuori serie.
In termini di rispondenza economica non esiste il paragone tra un’attività a carattere artigianale artistica e una solamente artistica.
Indubbiamente è più semplice e remunerativa la prima della seconda.
Di conseguenza non sarebbe stato un problema capire di dovermi fermare all’ambito artigianale artistico che adoro da sempre e per sempre.
Ovviamente lavorare in questo ambito richiede l’adesione al dover rispondere in modo perfetto alla committenza e senza sbavature.
A oggi, tuttavia, è un mercato messo più da parte rispetto a un tempo e richiede un’analisi attenta.
Io purtroppo ho la sfortuna della salute che mi obbliga a tenere conto di ciò che desidero fare slegandomi dai doveri a cui sono stata sottoposta troppo a lungo senza soste e vacanze, ma se non avessi avuto impedimenti indipendenti dal mio volere, sinceramente sarei stata felicissima di rimanere nel mio territorio artigianale in cui avevo la mia certezza quotidiana e il mio svago artistico slegato dall’introito che vendevo a prezzi ben diversi.
Se potrò permettermelo cercherò di tornare li perché è una strada che ha delle certezze.
Siamo tantissimi artisti oggi in Italia, come afferma Vittorio Sgarbi.
Pensa che bello se ognuno offrisse ciò che sa dare in quel momento al suo territorio.
Io il consiglio più che agli artisti vorrei darlo al territorio in cui vivono perché accogliere gli artigiani artisti fa bene a tutti, persino al turismo.
Io sono certamente per la diffusione dell’Arte a km 0 piuttosto che per l’emergere di uno su tutti.
La Triennale a cui partecipo a Roma fino al 22 di Aprile descrive così magistralmente come il contributo di tanti artisti sia positivo e necessario per la completezza di un bel viaggio della mente che non ho dubbi: ognuno col suo stile e punto di vista può arricchire una fetta di Italia.
Sarebbe bello se imparassimo a girare il nostro territorio cercando non solo le specialità culinarie ma anche le specialità artigianali e artistiche.
Per questo mi sono messa in gioco accettando qualunque ruolo mi spettasse.
L’unico problema è che pare mi spetti un ruolo artistico con la a un po’ più grande delle mie aspettative, il che mi spiazza e mi richiede riflessione.
 
Francesco Cogoni.
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