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Intervista impossibile a Andy Warhol: Il Genio della Superficie

In questa Intervista impossibile a Andy Warhol conoscerete il padre della pop art, un genio dell’immagine che ha saputo imprimere la storia della sua epoca anticipando l’importanza che la società dei consumi stava avendo dagli anni 70′ ad oggi.

Francesco Cogoni: Mr. Warhol, iniziamo dal principio. Qual è stato il suo primo incontro con l’arte?

Andy Warhol: Oh, ho sempre amato disegnare. Quando ero bambino a Pittsburgh e mi ammalavo, mia madre mi dava carta e matite per tenermi occupato. Ricordo di aver collezionato immagini di celebrità dai giornali, di aver copiato fumetti. Quello che faccio oggi è, in fondo, una continuazione di quel gioco infantile.

Francesco Cogoni: Ha studiato arte alla Carnegie Institute of Technology. Come ha influenzato la sua carriera?

Andy Warhol: Mi ha dato le basi tecniche, ma più di tutto mi ha insegnato a essere pratico. Dopo la laurea sono andato a New York e ho iniziato come illustratore per la pubblicità. Lavoravo per Vogue, Harper’s Bazaar, facevo copertine di dischi. Ho imparato che l’immagine è un prodotto e che un artista può essere un brand.

Francesco Cogoni: Ha rivoluzionato il concetto di arte con la Pop Art. Perché il mondo della pubblicità e della cultura pop l’ha affascinata così tanto?

Andy Warhol: Perché è quello che tutti guardano, tutti consumano. È democratica. Non importa chi sei, puoi bere la stessa Coca-Cola di un presidente o di una star del cinema. Ho pensato che fosse più interessante dipingere Marilyn Monroe, una lattina di Campbell’s o una bottiglia di Coca-Cola che fare un quadro astratto.

Francesco Cogoni: La sua tecnica era molto particolare. Ci parli del suo processo.

Andy Warhol: Ho iniziato con la pittura a mano, ma presto ho capito che la riproduzione meccanica era più interessante. Usavo la serigrafia perché permetteva di ripetere l’immagine più e più volte, come in una fabbrica. Il mio studio, la Factory, non era solo un luogo di lavoro, era un concetto: l’arte come produzione di massa, proprio come una catena di montaggio.

Francesco Cogoni: Molti hanno visto la sua opera come una critica al consumismo. È così?

Andy Warhol: Io non critico, io osservo. Prendo quello che vedo e lo riproduco. Lascio che sia il pubblico a decidere. Il consumismo è parte della nostra vita, come l’arte. Io volevo semplicemente ridurre la distanza tra le due cose.

Francesco Cogoni: Ha trasformato il concetto di celebrità in arte. Perché le affascinavano così tanto le star di Hollywood?

Andy Warhol: Perché erano i nuovi dei, icone moderne. Marilyn Monroe, Elvis Presley, Liz Taylor: erano immagini più che persone. Dipingerli non era diverso dal dipingere una Madonna rinascimentale. La differenza è che oggi le nostre divinità vengono dai film e dalla televisione.

Francesco Cogoni: Mr. Warhol, qual era il suo rapporto con altri artisti della sua epoca, come Jean-Michel Basquiat, Jackson Pollock o Salvador Dalí?

Andy Warhol: Oh, era interessante. Pollock era già un mito quando ho iniziato, ma l’Espressionismo Astratto mi sembrava troppo emotivo, troppo disordinato. Io volevo l’opposto: immagini fredde, ripetibili, come una pubblicità. Dalí, invece, era fantastico! Aveva capito prima di tutti che un artista doveva essere anche un personaggio. Quando l’ho incontrato, era esattamente come me lo immaginavo: eccentrico, teatrale, sempre con qualcosa di strano da dire.

E poi c’era Basquiat. Con lui era diverso. Era giovane, crudo, spontaneo. Abbiamo collaborato e ci siamo influenzati a vicenda: lui mi ha riportato al gesto pittorico, io gli ho dato un metodo più strutturato. Ci divertivamo, ma il mondo dell’arte non ci ha reso le cose facili.

In generale, però, non ho mai pensato agli artisti come a dei rivali o maestri. Per me l’arte è un business, e ognuno deve trovare il proprio modo di stare nel mercato.

Francesco Cogoni: La morte è un tema ricorrente nella sua opera. Marilyn Monroe, il suicidio, gli incidenti d’auto…

Andy Warhol: La morte è il lato oscuro della celebrità e del consumismo. Puoi essere un’icona come Marilyn e svanire in un attimo. Puoi essere una persona qualunque e diventare un’immagine in prima pagina perché sei morto in modo spettacolare. La morte è la cosa più glamour di tutte.

Francesco Cogoni: È famoso per aver detto che in futuro tutti avrebbero avuto 15 minuti di celebrità. Oggi con i social media sembra che avesse ragione.

Andy Warhol: Oh sì, oggi tutti possono essere una star, almeno per un po’. Instagram, TikTok, YouTube… chiunque può diventare famoso in un secondo e scomparire il giorno dopo. È esattamente quello che intendevo.

Francesco Cogoni: Ha sempre evitato di parlare della sua vita privata. Perché?

Andy Warhol: Perché la mia arte è la mia vita. Io sono la mia immagine pubblica. Quello che sono davvero non è importante. Quello che importa è quello che vedete: una parrucca bianca, un volto inespressivo, un artista che assomiglia a una sua opera.

Francesco Cogoni: Che consiglio darebbe a un giovane artista oggi?

Andy Warhol: Sii una macchina. Non pensare troppo. Prendi quello che il mondo ti dà e trasformalo in arte. E, soprattutto, fai soldi. L’arte è business, e il business è la migliore forma d’arte.

Francesco Cogoni: Grazie, Mr. Warhol.

Andy Warhol: Grazie a te. Ora vendiamo questa intervista, magari facciamone delle serigrafie.

Disambigua: Questa Intervista impossibile a Andy Warhol è stata formulata per scopi ludico informativi con ChatGPT 4o il progetto “Interviste impossibili a…” è stato presentato da Francesco Cogoni per ConnectivArt vanta almeno un articolo a settimana per x tempo e vedrà protagonisti gli artisti più celebri di ogni campo seguiteci sui social e sul sito per rimanere sempre aggiornati e curiosare sui nostri contenuti.

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