Intervista a Lorena Ulpiani
Quando e come nasce il suo percorso artistico?
Sono cresciuta tra ai pennelli di mia madre, quindi dipingo da quando ero bambina.
Ho studiato arte ma il mio percorso espositivo è nato tardi e in modo casuale.
Per oltre 20 anni mi sono occupata di cronaca sia locale, sia nazionale e mai avrei pensato ad un cambiamento così radicale.
Un’avventura che inizia a Belluno, nel 2011, dove ero stata trasferita dal giornale per il quale lavoravo. Il giorno di ferragosto, ero ospite a Cortina d’Ampezzo di una collega di Radio Cortina, Nives Milani, e della proprietà del Miramonti Majestic Grand Hotel, del Gruppo Geturhotels, presente anche in Sardegna: si parlò molto di arte, con meravigliosa simpatia mi fu offerta la possibilità di una personale che potevo sviluppare in tutta la hall, inclusa la Sala del Caminetto, mitica location che nel 1963 ospitò le scene più belle del film “La pantera rosa”, con Peter Sellers.
Nasceva così, con un brindisi, quella che nel febbraio 2012 è stata la mia prima personale, presentata da Francesca Lauria Pinter, pittrice e presidente dell’Associazione culturale Mario Morales (Belluno).
Un mese di mostra che riuscì a far parlare, segnando anche l’ingresso nel mercato.
Ci fu un interesse da parte della critica al quale non ero preparata. E’ come se tutto mi travolgesse, non me lo aspettavo. Ma come è nel mio carattere prevalse la curiosità, mi tirai su le maniche cercando di scoprire questo nuovo mondo che mi si offriva.
Nulla accade mai a caso.
Quali persone, artisti ed episodi hanno influenzato maggiormente il tuo percorso?
Da un lato le esperienze pittoriche di mia madre che mi hanno permesso di entrare in contatto, ancora ragazzina, con figure quali Pericle Fazzini, che viveva in un paese vicino al mio, e altri grandi, legati alla Roma artistica degli anni ‘70/80. Non solo della pittura: critico di mia madre, era Luciano Luisi, già poeta conosciuto e giornalista.
Come cronista ho invece potuto contare su un osservatorio privilegiato, intervistando molti nomi noti, non solo pittori. Uno dei miei primi servizi fu su Mario Rigoni Stern: ho sempre sentito un forte legame anche con la letteratura.
Cortina ha aperto un percorso a tappe in questo senso. La prima è stata l’incontro con Giulia Sillato e l’ingresso nella sua piattaforma “Il Metaformismo”: non un movimento, bensì una lettura dell’arte contemporanea creata dalla critica veronese, di scuola longhiana, che rivoluziona la visione stessa di “astrattismo”, rileggendo molte correnti del 900. Del Metafiormismo facevano parte pittori di esperienza, come Pier Domenico Magri e Rosa Spina, per i quali ho grande ammirazione. Magri è tutt’ora un punto di riferimento prezioso. Il confronto stilistico è stato intenso anche con la stessa professoressa Sillato. Sono stati tre anni caratterizzati da studio, ricerca e mostre collettive del Movimento in sedi di prestigio, come il piano nobile della Gran Guardia a Verona. Sempre con il Metaformismo sono entrata nel CAM – Catalogo d’Arte Moderna (Cairo/Mondadori), erede del Bolaffi.
Potendomi confrontare con professionisti, mi sono resa conto da subito che il mondo dell’arte che avevo conosciuto da ragazzina a Roma, non c’era più: mancava lo spessore culturale. Per gli esordienti, ora, c’erano molto fumo, molti lustrini e tanti venditori di sogni. In questo, sia Pier Domenico, sia Rosa, sia la stessa Giulia, o anche Carla Rigato, sono stati preziosi, mi hanno protetta da delusioni e perdite di denaro inutili. C’è chi fa la settimana bianca e chi si regala il sogno del successo, basta pagare.
Un approccio che trovo pericoloso e che mi ha portata ad intraprendere un cammino diverso che ha escluso le collettive, le critiche di “bocca buona” e il proliferare di cataloghi. Tanto per citare alcune delle offerte più frequenti. Leggere mail intestate alla “Gentile artista” ha iniziato a darmi l’orticaria.
In cinque anni, in personale o in collettiva ho esposto in Italia e all’estero, da Roma ad Ancona, da Venezia a Mantova, da Padova ad Ascoli Piceno; da Parigi a Barcellona, a New York, a Vienna. Le personali sono passate da presentazione di opere a progetto che interagisce anche in modo multimediale con lo spazio che le accoglie. Con cui si integra o da cui si discosta.
Agli amici del Metaformismo se ne sono aggiunti altri, preziosi, chi con grandissima esperienza chi, come me, con un percorso in costruzione: da Angelo Rinaldi o Andrea Stella a Fausto Tonello, Alessandro Taglioni, Andrea Marchesini, Gabriele Coccia, Feofeo o Marilena Bordin. Importantissima è la rete di informazioni tra noi, sia sul piano creativo, sia per quanto riguarda il mercato.
C’è stato però, sempre nel bellunese un altro incontro importantissimo, che nel 2014 ha dato il via di una nuova tappa. E’ quello con Vico Calabrò, pittore e maestro internazionale di affresco, tecnica che amo da sempre, che avevo studiato all’università ma che non ero mai riuscita a praticare in modo serio. Avevo frequentato corsi su supporti mobili: ma l’affresco è muro. E’ dal rapporto con il muro che nasce tutto. Lo studio portato avanti con Vico e con la sua Frescopolis-Scuola internazionale per l’affresco, mi ha permesso di praticare la pittura a fresco su grandi superfici.
Al maestro Calabrò e alla sua Scuola devo tantissimo, anche per la disciplina sul lavoro, cosa nella quale non brillo: ma il muro la impone, così come impone concentrazione assoluta. Gli devo la conoscenza chimica dei materiali che uso, anche per la pittura a olio: praparo da sola i colori partendo dal pigmento. Un altro mondo rispetto al colore in tubetto. Potrei parlarne per ore del mio tempo con Calabrò e non riuscirei a dire tutto ciò che mi ha trasmesso. Anche con momenti di rimprovero ma necessari con una testa sempre corsa come la mia.
Già dopo il primo corso, seguito personalmente da Calabrò, era arrivata la decisione di fare dell’affresco il mio lavoro. E l’inizio di un percorso non facile ma bellissimo. Così sono nati, lo scorso anno, raccordati a Frescopolis, tre Centri permanenti per l’affresco: uno a Padova (Albignasego) dove io risiedo e opero per gran parte dell’anno, uno nelle Marche dove sono nata e cresciuta, sviluppato su Ascoli Piceno per la parte congrassuale e Montefiore dell’Aso per la cantieristica e la sperimentazione. E il terzo, che sta nascendo in queste settimane a Tredozio, in provincia di Forlì/Cesena, dove l’incontro con un interprete della fotografia e grande appassionato d’arte, oltre che chef internazionale ex volto Rai, Pier Luigi Gentilini, ha fatto nascere una collaborazione che porterà allievi anche da Australia e Giappone.
E nei prossimi giorni, sabato 24 febbraio, verrà inaugurato “Borgo incantato” il mio primo affresco pubblico 2.30×1.50m, a Padova, per il progetto DUdA: Galleria permanente di arte contemporanea che ha trasformato in Scuola museo il Liceo di Scienze umane Duca d’Aosta. Nella prima settimana di cantiere, ho potuto avere Vico al mio fianco. Ciascuna giornata è diventata una lezione propedeutica alla tecnica, aperta al pubblico: un’esperienza meravigliosa per la quale non lo ringrazierò mai abbastanza.
L’istituto, centralissimo, con le sue 150 opere, presenta 50 anni di pittura e scultura nella Città del Santo. Un progetto geniale, ideato dal preside Alberto Danieli, e per il quale nel 2016 ho realizzato anche una porta dipinta a olio: “Jazz” che dà accesso all’aula Ulpiani, nel corridoio che mi vede accanto a Matteo Massagrande ed Elio Borghi. Il DUdA è stato scelto dal Fai fra i monumenti da aprire per le giornate d’arte del 2017.
Cosa cerchi con la forma d’arte che utilizzi?
Nulla nasce dal nulla e cade nel vuoto: l’arte, pittura inclusa, è un percorso che lega epoche anche profondamente diverse che però convergono e influenzano il linguaggio creativo attraverso i secoli. Credere che nel mio astratto geometrico non ci siano fili che vanno a ritroso sino al Quattrocento, o agli ori di tanta arte sacra, ai pastelli del Seicento, alle luci intense di grandi vedutisti, a mio avviso è non vedere. O fili che riconducono al mosaico, anche bizantino, o romano.
Ovvio, poi, che il richiamo stilistico può farsi più evidente in autori temporalmente più vicini, quasi a darne una continuità di codici. Nelle mie geometrie, ad esempio, il rimando a parte del futurismo. All’arte del padre dell’astrattismo, Vasilij Kandinskij, o di certo astrattismo russo. Di Sonia Terk e Robert Delaunay, o di Burri che adoro; o di Parmeggiani che amo visceralmente pur non “citandolo” come segno.
I “maestri interiori”, visivi, sono tanti e meravigliosi: alcuni li individuiamo, altri restano in un angolo del Sé e da lì ci parlano. Non credo esisterebbe alcuna mia opera senza il contatto con quadri di Giacomo Balla, Roberto Crippa, Gino Severini; o di un Ivo Panneggi; o con nomi forse meno conosciuti come Carla Prina, per gli astrattisti comaschi, o il cadorino Masi Simonetti. O di un altro ascolano, Gino Stella.
Tutto è scorrere, è evoluzione. Il salto, c’è nel momento in cui l’alchimia interiore origina un elemento in più, il nuovo, che darà vita ad altro nuovo. Anche la pittura, per certi versi segue le modalità dell’evolvere della specie. Quasi un corpo vivo attraverso il tempo. Tutti creiamo, solo alcuni innovano. O solo alcune innovazioni vengono raccolte dal sistema e portate avanti.
Personalmente, sento molto, nel mio dipingere la forza del colore che si fa spazio, in questo ritengo possa essere l’elemento da coltivare: un colore che quasi assorbe la forma e la fa luce. Alcune critiche vanno in questa direzione e per me è una conferma importante, non di merito, bensì di lavoro.
Cosa cerco? Bella domanda. Cerco il mio silenzio, quell’esistere oltre il visibile nel quale tutto è movimento, armonia, luce, riflesso; è scorrere, compenetrarsi di onde, vibrazioni, forme al di là della metafora; è essere la vita. Cerco il contatto fra il Sé individuale e il Sé superiore. Energie che fluiscono fra chi crea l’opera, l’opera stessa e chi la guarda. E’ un passare continuo di onde che vivono lo spazio organizzato dei “quanti”.
Reti, connessioni, particelle o vibrazioni di un altro mondo che pure è in me e che in me lavora, respira, crea.
C’è una parte nella tua ricerca artistica di cui vorresti parlare in particolare?
Sì, la fondazione nel 2015 di 99Quanti, un gruppo di ricerca sulla nuova visualizzazione della realtà, rivelata da un secolo di fisica.
All’origine del lavoro, c’è il mio amore per la meccanica quantistica; per l’astrofisica. La convinzione profonda di come la vera sfida per l’arte contemporanea sia proprio nell’intuire e nell’esplorare la visualizzazione dell’universo che avanza.
E’ evidente che la ricerca scientifica ha scardinato principi quali il l’eterno, l’immobile, il sacro rivelato, uno spazio dato e immutabile, un tempo solo lineare. Un mondo nutrito di metafora. Penso che i fisici con i “quanti” abbiano riscritto non solo pagine di formule ma di vita, di filosofia, di specie.
Quello che avanza è un nuovo relativismo dove tutto dovrà ricollocarsi in un’ottica di movimento, di trasformazione: siamo parte di un universo dissipativo che disperdendo energia, va verso la dissoluzione finale. Non è consapevolezza da poco. L’arte su questo stravolgimento profondo delle “anime” e dell’esistere non può non interrogarsi, non trasformarsi.
E ciò senza nulla togliere all’approfondimento delle correnti, alle retrospettive, alla provocazione. Ritengo però che il concettuale così come si esprime nel wc di Maurizio Cattelan abbia fatto il suo tempo, nonostante le operazioni finanziarie e di mercato dicano il contrario.
La sfida è capire se e come sarà il nuovo “sacro”, come visualizzeremo lo spazio, con quale linguaggio, forma, vibrazione. Con quale tecnica e preparazione. Con quale mente, perché anche le neuroscienze richiederebbero un discorso a parte.
In tutto questo mi aspetto una voce dall’arte contemporanea, non wc, non provocazioni finanziariamente speculative, figlie di un tempo vecchio. Autocelebrativo.
Ecco, con questo spirito è nato 99Quanti, un gruppo che fa ricerca visiva, non solo pittorica, proprio sui linguaggi artistici alla luce della quantistica. Determinante per la fondazione e il sostegno di 99Quanti, l’incontro e l’intesa con il sociologo Gian Paolo Prandstraller, docente dell’Università di Bologna. Lette alcune delle sue pubblicazioni nelle quali teorizza con lucidità straordinaria gli scenari a venire, è bastata una stretta di mano e il lavoro è partito, con un coordinamento autorevole. Il gruppo, si è presentato a Padova, alla Galleria La Teca con una prima mostra in collaborazione con il Comune nel maggio 2016. Titolo: “Arte quantistica e nuova visualizzazione”. Nove autori, tutti professionisti e per lo più di caratura internazionale (uno sardo, Massimo Cocco), con l’obiettivo di dire non quale sarà la visione a cui approderemo ma il punto dal quale la nostra ricerca ha origine.
Purtroppo, proprio in fase di allestimento della mostra un infarto mi ha impedito di essere presente all’inaugurazione. Il decorso della cardiopatia che solo ora mi dà tregua, mi ha impedito anche di seguire come avrei voluto il gruppo, ma ho un carattere tenace, ora che finalmente è stata alleggerita la terapia e sto meglio… si riparte. E lo si fa dai contatti con il mondo della ricerca, che ha risposto con entusiasmo da subito, con il mondo dell’illustrazione per la ricerca e con il confronto con altri gruppi attivi in Italia e all’estero. Chiuderemo il 2018 con una grande mostra, aperta anche ad alcuni nomi stranieri. Il tutto sempre in collaborazione con la Galleria La Teca che è punto di riferimento permanente del Gruppo.
Qual è il tuo rapporto con il mercato?
E’ un rapporto anomalo, come anomali sono i tempi della mia “affermazione” pittorica. E’ frutto di un percorso di storicizzazione e di quotazione: più ci si addentra in quella che è la “storicizzazione” delle proprie opere, più anche il rapporto con il mercato costruisce una base stabile. “Viaggio”, se così si può dire, in quella fascia di mezzo, lontana anni luce dalle grandi speculazioni finanziarie e, più in basso, da quella palude di servizi senza progettualità di cui parlavo prima.
Oggi i mercanti d’arte sono pochissimi, si occupano per lo più di autori storicizzati disponibili e appetibili grazie alle quotazioni precipitate. Per fare un esempio: un disegno di Picasso può essere acquistato in asta ad un quarto di una mia opera. E’ solo un disegno, magari parte di una serie, ma è pur sempre un Picasso. C’è un oscillare continuo di quotazioni su nomi che fino a ieri per molti erano impensabili. C’è poi il caos delle certificazioni, con le quali impropriamente qualcuno tenta di regolare l’immissione delle opere storicizzate sul mercato per salvarne il valore. Un insieme di fattori molto complessi che hanno fatto sì che il 90% delle gallerie, fra quelle sopravvissute alla crisi, operino non tanto su una clientela reale ma on line. facendo operazioni speculative e lasciando che si sfaldi la rete culturale di cui erano link, più o meno importanti.
Per un autore come me, resta valida la fascia di “primo collezionismo”, un mercato che non è più il cliente da arredamento ma che non è necessariamente l’investitore. E’ un collezionista che a fronte di cifre abbordabili, scommette sulla propria capacità di individuare un nome valido. E’ un investitore fedele nel tempo, che segue le mostre, che mantiene un contatto diretto con l’autore. Che contratta fino al centesimo, che non acquista se non conosce di persona autore e opere, anche se il primo contatto può essere on line. Le mostre finiscono per avere senso solo se c’è un progetto storicizzante, altrimenti uno studio e un buon sito vanno benissimo: una, massimo due personali l’anno. E qualche presenza all’estero.
Un discorso a sé va fatto invece per l’affresco che essendo su muro, ha frequenti canali di richiesta supplementari rispetto all’amatore privato: committenza istituzionale, architetti, restauratori. Da quest’anno ne realizzo in Italia e all’estero, collaborando con le maestranze che seguono le opere murarie e la sicurezza del cantiere. O con chi ne segue le richieste di autorizzazioni in caso di palazzi tutelati.
Si gira con il metro in tasca ma è un universo bellissimo, di grande creatività e di buon potenziale. Non ci si sente “arrivati”, si gioisce del “fare”, si respira calce come un tempo: un piacere immenso, vero. E’ molto probabile che l’anno prossimo porti l’affresco anche in Sardegna, nell’area di Sassari ma è un progetto appena abbozzato ed è prematuro dire di più: posso solo anticipare che potrebbe unire la pratica creativa e il benessere di giovani con disagi, mettendo insieme professionisti di settori diversi in un unico protocollo di lavoro.
Cosa consiglieresti ad un artista che vorrebbe vivere d’arte?
Studia, viaggia, conosci più che puoi, vale in arte come in altri campi; studiare i maestri del passato fino a sentirne dentro le sfumature di un gesto; riempire gli occhi e l’anima di forme e di colore di ciascuna epoca, non per copiare ma perché in pittura, come in altro, il sapere ha un suo peso. Conoscere la regola permette di infrangerla. Non credo nelle “bolle” di creatività, possono rappresentare un momento eccellente, un fenomeno ma restano tali. E almeno a me, non interessano.
Altra cosa importante è essere pronti ad opere su misura e sempre più lontani dall’illusione che appendere un quadro al muro ci faccia diventare Vedova, Andy Warhol piuttosto che Cui Ruzhuo. Se si recupera la dimensione della sperimentazione e dello studio di soggetti diversi, allora di pittura si vive. Se si è o meno grandi lo deciderà il tempo, proprio come è sempre stato.
Una base tecnicamente solida deve esserci, la genialità è la marcia in più che farà la differenza ma che non può poggiare sul nulla o su castelli di fumo. Esporre sì ma solo in situazioni intelligenti, con progettualità e possibilmente senza spese.
Altro consiglio, è tenere nota di tutto: delle opere, dei percorsi mentali, dei testi, delle ispirazioni. E soprattutto una buona catalogazione delle opere, vendute, esposte o in casa. Farlo da subito evita fatiche ciclopiche 20 anni dopo. Ed è piacevolissimo e prezioso da rileggere. Infine, ascoltare con attenzione ogni parola, e ogni silenzio, di chi della pittura ha fatto la sua vita, anche quando non sono complimenti. Diffidare di chi parte con i superlativi, piuttosto dare attenzione a chi propone lavoro, non blasonato ma autentico.
Questa almeno la mia esperienza in 5 anni: da sola ho realizzato più di quanto mi è stato promesso dai molti venditori di fumo che confezionano gloria a fatica zero. Se si lavora, i risultati arrivano.
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Francesco Cogoni.