INTERVISTA A MARCO CIRCHIRILLO
Quando e come nasce il tuo percorso artistico?
Nel 2003 decisi di lasciare il lavoro e tornare a studiare.
Fu una scelta importante e rischiosa che, però, ha portato i suoi frutti.
Di fatto, in concomitanza con lo studio dell’arte, ho iniziato a fotografare.
La prima fotografia la scattai di notte all’esterno di una fabbrica.
Macchina analogica, cavalletto, 30 secondi, diaframma aperto al massimo.
La luce lunare batteva su pilastri che reggevano lamiere metalliche, e questa sinergia creava una proiezione di ombre vagamente inquietanti, dal sapore onirico.
Appena vidi questo spettacolo creato dall’interazione tra natura e artificio rimasi subito entusiasta.
Scattai, e una volta ottenuta l’immagine la virai in blu.
Iniziai così.
Quali persone e fattori hanno influenzato maggiormente il tuo lavoro?
Per quanto riguarda la sfera contemporanea, sono tre i movimenti che mi hanno molto influenzato: la fotografia del Futurismo, quella del Bauhaus e il Wiener Aktionismus.
Da lì ho cominciato a fotografare su pellicola rigorosamente in bianco e nero, usando spesso tecniche di doppie esposizioni in cui il corpo, spesso nudo e sofferente, era l’unico attore in gioco.
Ho conosciuto, poi, le opere di Man Ray e ne sono rimasto rapito: era l’esempio massimo di fotografia artistica e, per me, lo è tuttora.
Cosa cerchi in arte?
Nell’arte cerco una dimensione che dia senso a me stesso.
Un mondo parallelo in cui rinfrescarmi lo spirito.
Una sorta di Limbo in cui riflettere.
Una camera chiara in cui poter sfidare me stesso.
Un gioco per non crescere.
Un modo di vivere.
L’aspetto poetico delle cose.
Una forma di meditazione egosintonica.
Un tentativo disperato di esorcizzare l’impermanenza.
Bellezza e verità.
Ironia e divertimento.
C’è una parte della tua ricerca di cui vorresti parlare in particolare?
L’ossessione legata al doppio.
La fotografia già di per sé racchiude questo tema.
Ogni fotografo vi si misura sempre, spesso in modo ignaro, proprio per l’essenza ambigua della fotografia.
Fotografare significa duplicare ciò che è davanti.
Significa raddoppiare una data realtà.
Fotografare il doppio è quindi come forzare, rinnegandola, la natura della fotografia.
Penso che, al di là dell’aspetto tecnico, quello che fa la vera differenza sia ciò che si decide di ricercare: la fotografia è in primo luogo uno strumento di indagine.
Qual’è il tuo rapporto con il mercato?
Il mercato lo sopporto: sbuffo ma lo accetto.
Intanto, per vivere svolgo un lavoro parallelo che mi garantisce di sostenere me e la mia famiglia nei momenti bui.
Quindi, non avendo ansie legate alle “non vendite”, prendo ogni commissione o vendita come un qualcosa in più: un giusto premio, una ricompensa per poter andare avanti con la mia ricerca.
Il mercato è un giudice severo, un po’ svampito e molto lunatico, che è giusto che ci sia: esiste e fa parte del gioco.
È grottesco e segue leggi tutte sue, ma alla fine è meglio farselo amico.
Cosa consiglieresti ad un artista che vorrebbe vivere d’arte?
Consiglio sempre di non mollare mai.
Viviamo in un mondo che ha perso credibilità, in cui c’è una cattiva gestione politica e si investe poco sui giovani.
Esistono i “senatori dell’arte” e, tra i giovani artisti, si mimetizzano spesso molti fannulloni.
Non so se ci sarà ricambio generazionale, ma credo che la storia futura la stiamo scrivendo noi, in prima persona.
In Italia non c’è selezione all’ingresso, così molti giovani, che faticano a trovare i propri spazi professionali, provano a fare gli artisti, ma non è facile: per cui, grazie all’avanzata tecnologia, scelgono la strada della fotografia.
Alcuni di loro diventano anche molto bravi ma manca spesso l’aspetto creativo, quel qualcosa in più che non viene compensato dalla tecnica.
Occorre solo agire con passione, avere grande forza di volontà e un forte senso critico rispetto a se stessi, a ciò che ci circonda; agire sempre con sincerità d’animo, non farsi prendere da facili entusiasmi, dotarsi di umiltà, lavorare sulla pazienza e sviluppare un proprio modo di vedere le cose, magari con un pizzico d’ironia.
Così, il vero trionferà.
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Francesco Cogoni.