INTERVISTA A MARIA TERESA INFANTE
Quando e come nasce la tua passione per la scrittura?
A dire il vero non esiste un momento ben preciso ma posso dire che la passione per la scrittura è consequenziale a quello per la lettura.
Avevo imparato a leggere già in età prescolastica con l’ausilio dei fumetti di cui ero un’assidua divoratrice, credo di aver spaziato tra i generi più diversi e differenti tra loro nel corso dei miei anni, ma prima ancora che riconoscere i caratteri avevo iniziato a interpretare i volti della gente e dei luoghi intorno a me – gli occhi, gli odori, le mani, i colori – per capire, sapere, avere una visione del dove e con chi mi trovavo; abitudine che non ho ancora perso e mi viene in aiuto nel mio interagire con gli altri.
Leggendo si viaggia dall’interno di una stanza, il tuo 4×4 ti permette di percorrere luoghi e culture, di dilatarti ed impari a catalogare le informazioni apprese, diventi un contenitore colmo non solo di conoscenze ma di riflessioni emotive che prima o poi hai la necessità di mettere fuori, di trasmettere a tua volta, indipendentemente dal sapere se qualcuno le legga o meno.
Diventa un bisogno; hai necessità di mettere ordine all’interno del tuo magazzino, ma per farlo devi prima abbattere il muro delle tue paure, quello dell’ignoto a cui apre le porte il potere della Parola e della scrittura.
E allora posso dire di avere abbattuto questo muro pochi anni fa, quando sono riuscita ad uccidere le mie paure diventando più coraggiosa e consapevole.
Quando ho deciso di essere anche altro da ciò che ero sempre stata.
Senza dimenticare chi ero e chi ancora sono.
Quali persone, situazioni o scrittori hanno influenzato maggiormente il tuo lavoro?
La mia stessa vita.
La mia infanzia, il mio percorso di donna, di figlia e di madre.
All’improvviso ho sentito il bisogno di parlare, di rompere il muro del silenzio, di raccontarmi o di dare voce a chi non può raccontarsi, seppure ho iniziato a farlo in punta di piedi, col timore, il pudore, di svestirmi al cospetto del lettore.
Troppe volte sono stata un’ombra, o meglio, ho lasciato spazio solo alla donna legata alle priorità quotidiane, poi capisci che non può bastare che c’è un’altra parte di te che reclama la sua appartenenza e chiede di esistere.
La poesia ti viene incontro nella sua nobiltà d’animo, ti aiuta, ti prende per mano, ti sorregge perché permette di velarti, seppur denudandoti – quindi non ti priva della dignità di persona – con l’arte della metafora, del dire lasciandosi interpretare.
Credo che la poesia sia l’orlo dignitoso del Pensiero e per questo tra i versi mi sono ritrovata (o persa) per passare poi alla narrativa e ai miei primi passi nel giornalismo, da collaboratrice.
Ho camminato tra i versi della Merini, di Pablo Neruda in cui mi ritrovo in ogni sua forma; ho riflettuto su quelli di Hikmet, Antonia Pozzi, Montale, Ungaretti, Pasolini, Pessoa, Bukowki e Plath.
La mano carezzevole della poesia mi ha aperto la strada alla narrativa perché mi ha insegnato a pensare, mi ha fatto fermare, riflettere e guardare ogni cosa con un occhio diverso, attento ai dettagli e a interpretarli, ed infatti i miei scritti sono profondamente descrittivi, esploratori del circondario.
Bisogna essere lettori di ogni più piccola forma del creato prima che scrittori, anzi, aspiranti scrittori (e ancora una volta tutto parte dalla lettura).
C’è una parte della tua ricerca di cui vorresti parlare in particolare?
Noi siamo fondamentalmente dei viaggiatori, consapevoli o meno siamo in viaggio fin dalla nascita e in questo cammino, chiamati a confrontarci con gli altri.
Ci siamo noi e gli altri, che lo si voglia o meno e non a caso la mia ultima raccolta poetica ho voluto intitolarla “Il Viaggio”, un percorso all’interno di me stessa in rapporto ai posti e alle persone tra cui ho sostato durante le pause.
Non so dove condurrà il percorso ma è sempre più pressante la necessità di sapere e di “sentire” le emozioni sulla propria pelle, tra gioie e dolori bisogna viversi, nonostante le inevitabili amarezze e le delusioni di cui è costellata la strada.
Negli anni della maturità ci si pongono più domande, diventiamo man mano più esigenti, cerchiamo risposte, analizziamo e metabolizziamo il rapporto con le emozioni e i sentimenti.
Io sto cercando di conoscermi per offrire con consapevolezza i miei contenuti.
L’importante è intraprendere il cammino, la stasi è la morte.
Ognuno di noi deve sentirsi un portatore d’acqua.
Parlare di se stessi, estraniandosi da personalismi narcisistici è parlare del vissuto millenario che ci portiamo addosso, appartenente alla specie, prima che all’individuo.
Qual’è il tuo rapporto con le case editrici e che possibilità ci sono di emergere per un giovane scrittore?
Il rapporto Autore/case editrici è simile a quello di tanti scrittori esordienti, è un rapporto tutto in salita in cui alla vetta da scalare ci sono pochi appigli.
Vero che in tanti scrivono e pochi sono i testi di qualità, esiste un vero marasma nel mondo dell’editoria ma è pur vero che tra gli scaffali delle librerie non sempre il nome noto risponde alle aspettative del lettore.
E i lettori sono sempre meno.
Secondo l’11° Rapporto di Federculture i lettori sono ancora in calo, soprattutto al Nord della penisola e tra i giovani, a dispetto del proliferare delle case editrici.
Di contro, i colossi dell’editoria si contano sul palmo di una mano, ma sono inavvicinabili.
Io stessa sono la responsabile del settore editoriale che fa capo alla mia Associazione culturale “L’Oceano nell’Anima”di cui sono anche vice presidente e socia fondatrice insieme al presidente Massimo Massa e l’imprenditrice Barbara Agradi e in questa maniera cerchiamo di essere vicini alle esigenze degli autori che non riescono a districarsi nella jungla editoriale e che senza nessuna forma di presunzione o protagonismo sentono il bisogno di dire qualcosa.
Le grosse case editrici rappresentano l’Olimpo, inavvicinabili se non per pochi eletti.
Se sei uno sconosciuto non ti prenderanno mai in considerazione ( potresti anche tradurre La Divina Commedia in aramaico) ma se non ti pubblicano non potrai mai sapere che riscontro potresti avere: è un cane che si morde la coda.
Però un po’ di amarezza c’è quando sugli scaffali più in vista delle librerie troviamo il 50° libro di ricette della stessa autrice televisiva, il libro scandalo del fotografo con pendenze penali, l’ennesimo testo del solito presentatore tv o del politico di turno e l’intera sagra delle sfumature dai discutibili risvolti erotici.
Ora aspettiamoci le confessioni di Lapo in copertina patinata.
Bisogna avere uno scandalo alle spalle, essere trasgressivi, la normalità non paga se non in rari, rarissimi casi.
E pensare che ne abbiamo di letterati, scrittori, storici, poeti, saggisti meritevoli.
Ben venga la grande editoria, ce n’è bisogno per dirigere il mercato ma che punti sulla meritocrazia e che si rimetta alla ricerca – come in qualche maniera avveniva pochi decenni fa – dei talenti piuttosto che lasciarli latenti (anagramma involontario) o scoprirli post mortem.
Un brindisi da vivi lo gradirebbero in tanti.
Cosa consiglieresti ad uno scrittore che vorrebbe vivere di quest’arte?
Di arte non si campa, semmai si vive, perché ogni forma d’arte eleva l’animo umano distinguendoci dal resto degli esseri viventi, anche se spesso l’uomo si lascia sopraffare da istinti primordiali che lo retrocedono al gradino più basso della catena alimentare, ma ora non vorrei fare della social demagogia.
Concludo quindi dicendo che l’arte è una forma d’espressione personale, una necessità, un voler donare la propria interiorità cercando riscontro in ciò che noi percepiamo e alla maniera in cui lo percepiamo, se scende a compromessi per poter campare si trasforma in professione… e anche questo ci può stare, se si ha la forza d’animo di non snaturarsi.
Le passioni vanno sempre incentivate, sono uno sprone per essere proiettati costantemente in avanti, riempiono i buchi neri della monotonia della quotidianità e sono terapeutiche se non le carichiamo di aspettative.
Abbiamo bisogno del volo, ma con i piedi saldamente ancorati a terra.
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Francesco Cogoni.