INTERVISTA A MEFIS DEPEDIS
Quando e come nasce il tuo percorso artistico-musicale?
Ho iniziato ad ascoltare rap nella seconda metà degli anni novanta.
Alcuni miei compagni di classe delle scuole medie seguivano la cultura Hip Hop e da lì gradualmente iniziai a documentarmi in merito a tutte le sue discipline; writing, breaking, djing e rap appunto.
Quali musicisti hanno influenzato maggiormente il tuo lavoro?
Per essere sintetici, tutto L’Hip Hop americano della fine degli anni novanta, qualcosa del rap italiano e sardo tra la fine dei novanta e primi anni duemila.
Cosa cerchi dalla musica?
È una domanda interessante.
Non mi reputo un musicista, è un termine convenzionale che uso per consuetudine e per farmi comprendere da chi mi chiede cosa faccia.
L’Hip Hop per me è alto artigianato realizzato con dei mezzi poveri, però ricordo che quando ho iniziato lo scopo principale era poter far parte di questo movimento, per me era “cool” e particolare.
Cosa c’è da sapere del tuo novo disco?
“L’Epopea di Manfredi Scaglietti” è una sorta di concept album, il realtà il titolo rimanda al mio alias, una sorta di ibridazione genetica tra un nobile decaduto e un industriale/palazzinaro; Sono quattordici tracce che spaziano su tanti argomenti: dalle periferie viste dagli occhi di un suo residente (Cronache del circondario) Dal brano che racconta di un dandy che ammalia le donne con il suo savoir faire (Musica da Camera).
Al brano nonsense pieno di volgarità e linguaggio scurrile (Eldegrado)
Il filo conduttore potrebbe essere la presenza costante dello storytelling, un sottogenere dell’Hip Hop che consiste nel raccontare una storia in rima, oltre che una certa predisposizione verso la scrittura creativa e il flusso di coscienza.
Credo nel cattivo gusto come metodo di intrattenimento, L’Hip Hop ne è permeato.
Penso che sia una cosa che non manchi né tra gli afroamericani che tra gli italiani; vedo molte analogie.
Qual’è il tuo rapporto con le case discografiche e che possibilità ci sono di emergere?
Non ho nessun rapporto con le case discografiche; mi sono rimesso in gioco da troppo poco tempo; ho ricevuto qualche proposta, ma da realtà indipendenti, ma nulla di fatto per ora.
Credo che comunque ci sia un forte momento di crisi nell’industria discografica/culturale.
Ormai internet ha declassato un certo tipo di passaggi; anche nell’Hip Hop ci sono moltissimi esempi di artisti indipendenti che si gestiscono autonomamente e hanno un loro seguito importante, al pari di gente che ha firmato con le major.
Credo nel compromesso intelligente tra fruibilità e qualità.
Nel mio ambito dicono che l’Hip Hop italiano sia in un momento di grazia, ma per me ci sono molti numeri dopati e molta roba annacquata…
Per poter emergere credo sia necessario avere una squadra alle spalle, un’immagine riconoscibile, e una strategia.
Sapersi gestire a volte è più importante del talento.
Cosa consiglieresti ad un musicista che vorrebbe vivere di musica?
Non saprei, io faccio questa cosa a tempo perso, non potrei essere d’aiuto.
Ho qualche amico musicista e rispetto i loro sacrifici.
Col senno di poi mi sarebbe piaciuto imparare a suonare la tastiera; con la voce che mi ritrovo sarei andato subito a fare il pianobar ai matrimoni o in certi locali fini ed eleganti dell’hinterland.
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Francesco Cogoni.