Interviste

INTERVISTA A MICRO SISMO

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Quando e come nasce il tuo percorso artistico?

Alle scuole medie, pasticciavo tutto, i miei libri, i muri, le porte, le finestre, la mia tag era Sismo.

Per me era un mezzo di ribellione, lo facevo per lasciare il segno, qualcuno avrebbe letto e poi lasciato un segno del suo passaggio a sua volta, mi piaceva perché non era come rompere qualcosa, non era vandalismo, era come mettere di nascosto un po’ di vita laddove tutto sembrava grigio, imposto e controllato… morto. 

Quali persone, artisti ed episodi hanno influenzato maggiormente il tuo lavoro?

Gli artisti che più hanno influenzato quei tempi provenivano dalla musica, eminem, 2pac, i sangue misto…

Poi mi arrivarono alle orecchie gruppi come gli skiantos ed il punk straniero che non capivo, gli Exploited, i Funeral Dress, i Rancid, i Nofx, e tanti altri, mi fissavo su tutti, all’epoca suonavo e facevo cover di diversi gruppi, specialmente dei Nirvana! 

Ogni mia opera è il racconto scritto ad immagini, simboli ed oggetti di un’esperienza, gli oggetti sono sempre presi direttamente dall’esperienza, o che rimandano all’oggetto dell’esperienza come significato, spesso lo stesso supporto e recuperato dalla strada o nei pressi in cui è successo l’episodio che racconto.

Ancora oggi, quando li rivedo e mi torna in mente un dettaglio lo aggiungo, non me ne frega del risultato estetico, l’importante è che ci sia tutto. 

Perciò ad influenzarmi è un certo tipo di esperienza, la memoria di quell’esperienza rimettendola su un supporto dopo averla assimilata. 

Cosa cerchi in arte?

Non cerco nulla, uso l’arte come mezzo per dire qualcosa, che non è qualcosa di bello, racconto esperienze vissute in prima persona, con persone reali, riconoscibili o meno. 

Devo ammettere che c’è del colore anche nelle storie più tristi. 

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C’è una parte della tua ricerca di cui vorresti parlare in particolare?

Tutta la street art fatta e non documentata, il mio grande rammarico.

Qual’è il tuo rapporto con il mercato?

Per un periodo ho disperso quadri e disegni dove mi capitava, rimettendoci molto economicamente.

Qualcuno mi ha chiesto dei pezzi in vendita ma o non volevano pagare quanto chiedevo.

Ho anche proposto una mia produzione ad una galleria ma mi propose di fare ritratti a gli immigrati, perché vedendo vecchi lavori realistici pensava potesse essere funzionale ad un mercato, ovviamente non accettai.

Cosa consiglieresti ad un artista che vorrebbe vivere d’arte?

Io mi nutro di vita, di esperienze poi scarico tutto nei quadri, potrei vivere d’arte solo se fosse commestibile, alcolica o allucinogena.

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contatti:

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Francesco Cogoni.

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