INTERVISTA A PIERCARLO CARELLA
Quando nasce il tuo percorso artistico?
Per una serie di cause e casualità.
In principio volevo fare il veterinario, probabilmente perché sin da bambino sono sempre stato attratto dalla natura e dagli animali, e passavo le mie giornate a disegnare spaccati di formicai, funghi, dinosauri, e a sfogliare testi di anatomia, esiste addirittura una vignetta dove mi disegnai coi baffi e in tenuta da dottore.
Alla fine delle scuole medie presi coscienza del mio unico punto di forza, e visto nelle altre materie ero tutto sommato scarso e disinteressato, dissi a mia madre che volevo frequentare il Liceo Artistico.
Quali artisti hanno influenzato maggiormente il tuo lavoro?
Moltissimi, per quanto riguarda il lato tecnico, principalmente illustratori e pittori classici, ma sopratutto il rapporto diretto con bravissimi esecutori, a partire da numerosi colleghi frequentati all’Accademia, o artisti incontrati all’estero durante l’esecuzione di alcune commissioni.
Per il lato estetico/espressivo sono stati il cinema (sopratutto i generi grottesco, fantastico o di fantascienza) la letteratura classica e quella moderna, e quella politica a cavallo tra ‘800 e ‘900.
Cosa cerchi in arte?
Difficile rispondere.
Forse cerco le voci della nostra epoca, le milioni di voci sofferenti di uomini che chiedono aiuto, che chiedono “giustizia”, e che meritano un cambiamento storico ed epocale che verrà, ma non possiamo dire quando.
Cerco il rumore del tuono che annuncia il temporale.
C’è una parte della tua ricerca di cui vorresti parlare in particolare?
Forse quella anatomica.
Mi piace utilizzare il corpo per farlo parlare, senza bisogno della parola, mi piace distorcerlo come è distorta la nostra realtà.
I corpi sono sospesi perché gli è stato levato il suolo da sotto.
Mi piace immaginare che siano esseri che vivono durante un salto, un salto storico, sociale.
Non hanno bisogno di occhi perché sentono con lo stomaco, sono personaggi “biliari” e vivono di istinto.
Negli ultimi tempi sono tornato a forme più illustrative e fumettistiche.
La pittura mi attrae e allo stesso tempo mi spaventa ancora un sacco.
Quindi prediligo forme didascaliche e illustrative piuttosto che pittoriche.
Ho in lavorazione una nuova serie che avrà come titolo “New World Disorder” in contrasto con il concetto di New World Order, tanto caro ai complottisti.
Qual’è il tuo rapporto con il mercato?
Praticamente nullo (se parliamo del mercato ufficiale e “istituzionale”). Le poche esperienze sono state negative: Biennali che alla fine si sono rivelate solo uno sperpero finanziario, opere scomparse, rubate o trafugate (l’ultima negli Stati Uniti, nel 2010).
Critici intellettualmente scorretti, privi di gusto estetico, e “acquirenti” che contrattano come se si stesse parlando di bigiotteria, e non di pezzi unici.
Mi muovo per commissioni private, per contatto diretto con persone (o istituzioni, principalmente estere) interessate realmente.
In sintesi cerco di starne alla larga, a meno che non ne valga veramente la pena.
Cosa consiglieresti ad un artista che vorrebbe vivere d’arte?
Di sviluppare competenze e di esplorare più tecniche possibili.
Di essere adattabili ad ogni situazione o richiesta.
Di non chiudersi unicamente in una cultura prettamente artistica (la specializzazione uccide la creatività a mio parere), ma di esplorare le altre scienze con curiosità e dedizione.
E di avere sempre a portata di mano un’agenda dove poter disegnare.
SEMPRE.
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Francesco Cogoni.