La psicologa dietro 11 tra gli anime più amati: perché ci parlano così tanto?
La psicologa dietro 11 tra gli anime più amati: Perché gli anime ci parlano così profondamente? Una riflessione personale
Se mi chiedessero perché amo gli anime, risponderei con una frase: “Perché dicono la verità sulle emozioni che spesso nella realtà non si ha il coraggio di raccontare”. Gli anime, da sempre, sono più che intrattenimento. Sono storie che scavano nelle paure, nei desideri, nei sogni più intimi, spesso incarnati in personaggi imperfetti, feriti, in cerca di riscatto.
Attraverso la lente della psicologia, alcuni di questi racconti diventano strumenti potentissimi di riflessione: sul trauma, sull’identità, sul potere, sulla solitudine, sulla capacità di amare e di resistere. Ecco perché ci parlano così tanto. Ecco perché li amiamo.
In questo articolo, analizzerò 10 tra gli anime più amati di sempre, svelando il sottotesto psicologico che li rende così universali e profondi.

La psicologa dietro 11 tra gli anime più amati: Evangelion
“Non scappare, Shinji”.
Questa frase, pronunciata innumerevoli volte nel corso di Neon Genesis Evangelion, è il cuore stesso dell’anime. Evangelion è forse l’opera che più radicalmente ha destrutturato il genere mecha per rivelare un viaggio nell’inconscio.
I personaggi di Evangelion non combattono solo mostri esterni (gli Angeli), ma soprattutto demoni interiori: senso di colpa, abbandono, narcisismo, alienazione. Shinji rappresenta l’evitamento fobico del dolore, Rei l’annullamento dell’Io, Asuka il bisogno esasperato di validazione.
Secondo la psicoanalisi, ogni Eva è un’estensione del corpo e dell’inconscio del pilota. La fusione tra macchina e psiche è totale. L’Eva non è solo un robot: è la madre, il trauma, la rabbia repressa. Non è un caso che per pilotarlo si debba “entrare” in esso con il corpo, in un liquido amniotico. Il linguaggio simbolico è potente e volutamente destabilizzante.
Evangelion è un’opera che obbliga lo spettatore a guardarsi dentro, mettendo a nudo paure esistenziali: l’essere amati, l’esistere, il sopravvivere alla fine del mondo (dentro di noi). Non è facile da digerire. Ma è profondamente terapeutica. Come una seduta dolorosa, ma necessaria.

Attack on Titan: il trauma collettivo e la scelta morale impossibile
“Se vuoi ottenere qualcosa, devi essere pronto a rinunciare a tutto”.
In Attack on Titan non esistono eroi: esistono vittime della storia che devono decidere chi diventare. L’anime racconta il trauma collettivo di un popolo rinchiuso e perseguitato, in lotta per la sopravvivenza.
La psicologia del trauma è ovunque: nei flashback dolorosi di Eren, nel disturbo da stress post-traumatico che colpisce intere generazioni, nella rabbia cieca che trasforma le vittime in carnefici. Eren stesso incarna la progressiva perdita dell’empatia a favore di una visione messianica e autodistruttiva.
Dal punto di vista psicosociale, la serie mostra come l’identità possa essere manipolata e ridefinita attraverso la narrazione della paura. Il muro non è solo una struttura fisica, ma un costrutto psicologico: la barriera tra “noi” e “loro”.
Attack on Titan è un’opera sulla memoria storica, sul peso del passato, e sulla mostruosità che nasce quando non si riesce a elaborare il dolore. Ogni personaggio è vittima e carnefice, e lo spettatore si trova costretto a rivedere continuamente i propri giudizi morali.

Death Note: il narcisismo morale e l’illusione del controllo
“Io sono la giustizia”.
Con questa affermazione, Light Yagami rivela già nelle prime puntate di Death Note la sua ambizione: diventare Dio. L’anime è un perfetto studio psicologico del narcisismo e della deriva etica che può nascere quando si perde il senso del limite.
Light è brillante, ma privo di empatia. Il quaderno della morte è la sua occasione per dare un ordine “puro” al mondo, ma è anche lo strumento con cui il suo ego si espande fino a divorarlo. La relazione con L è un confronto tra due intelligenze, ma anche tra due visioni del potere: quella che manipola e quella che osserva.
Secondo la psicologia cognitiva, Light soffre di un forte bias di onnipotenza: crede di poter prevedere ogni azione e calcolare ogni reazione. Ma la realtà, e la psiche umana, sfuggono a ogni logica lineare.
Death Note è una parabola sulla perversione della giustizia. Il desiderio di fare il bene diventa pretesto per esercitare un controllo assoluto. È anche un racconto su come il potere isola, consuma e distorce l’identità.

La psicologa dietro 11 tra gli anime più amati: Naruto
“Io non scappo mai! E non mi ritiro mai! Questo è il mio ninja way!”.
Naruto è molto più di un anime d’azione: è una lunga, profonda esplorazione del bisogno di essere visti, riconosciuti e amati.
Orfano, emarginato e temuto, Naruto cresce portando dentro sé una bestia (il Kyubi) che è anche metafora della rabbia repressa, della solitudine e del trauma. Ma, al contrario di altri eroi, Naruto trasforma la ferita in una forza. Il suo percorso è esemplare dal punto di vista della resilienza psicologica.
Ogni personaggio di Naruto ha una ferita originaria: Sasuke è divorato dalla vendetta, Kakashi dal senso di colpa, Hinata dall’insicurezza. La narrazione è costruita come una grande terapia collettiva dove il riconoscimento reciproco diventa la chiave per la crescita.
Naruto ci insegna che la forza vera non sta nel potere, ma nella capacità di non arrendersi all’odio. È un inno alla perseveranza emotiva e alla dignità della fragilità.

One Piece: il legame che salva il mondo
“Non importa quanti nemici abbiamo davanti… finché siamo insieme, non perderemo mai!”.
In One Piece, l’amicizia è una forza rivoluzionaria.
Luffy e la sua ciurma non sono solo pirati in cerca del tesoro: sono un gruppo eterogeneo di solitari, ciascuno con una storia di dolore e marginalizzazione. L’unione tra loro è ciò che trasforma la sofferenza in missione, la solitudine in alleanza.
Psicologicamente, One Piece è un anime sull’attaccamento sicuro. La ciurma diventa una “famiglia elettiva” dove ognuno può essere sé stesso, senza giudizi. Il viaggio fisico è un viaggio psicologico verso l’integrazione del Sé, verso il coraggio di essere autentici.
Luffy non salva il mondo con la forza, ma con la fiducia. E questa fiducia è contagiosa. One Piece ci ricorda che non serve essere perfetti per essere eroi. Serve solo qualcuno che creda in noi.

Dragon Ball: la costruzione dell’identità attraverso la sfida
“Kakarot! Non sei altro che un guerriero di basso livello!”.
In Dragon Ball, l’epica della lotta è anche un’epica psicologica. Goku è il simbolo della crescita per superamento, dello sviluppo dell’identità attraverso il confronto e l’adattamento.
Goku non combatte per odio, ma per migliorarsi. Il combattimento diventa metafora della maturazione emotiva: ogni nemico è uno specchio, ogni sfida una soglia. Vegeta, invece, rappresenta l’identità rigida che deve frantumarsi per rinascere: il suo passaggio da antagonista a alleato è un esempio di de-strutturazione del Sé narcisista.
La saga mostra come i legami possano modificare la psiche: Trunks è il risultato di una linea temporale traumatica, e il suo atteggiamento riflette una crescita prematura dovuta alla guerra. Gohan, invece, incarna il potenziale non espresso, schiacciato dalle aspettative.
Dragon Ball è spesso sottovalutato sul piano psicologico, ma il suo successo globale sta proprio nella sua universalità: tutti, almeno una volta, abbiamo voluto “trasformarci” in qualcosa di più forte per affrontare la vita.

Tokyo Ghoul: l’identità spezzata e il trauma della trasformazione
“Non sono né umano né ghoul… allora cosa sono?”.
Kaneki Ken è il paradigma del trauma identitario. In Tokyo Ghoul, il protagonista è costretto a ridefinirsi dopo una trasformazione che lo strappa dal suo mondo.
Dal punto di vista psicologico, Kaneki vive una frattura dell’Io: la dissociazione tra il sé umano e quello ghoul rappresenta il conflitto interiore tra ciò che si era e ciò che si è diventati per sopravvivere. La fame, il dolore, il rifiuto della società: tutto converge verso una domanda angosciante di appartenenza.
Il trauma viene narrato anche visivamente: il cambiamento estetico, le scene disturbanti, la perdita di controllo sono tutti segnali di un’anima frantumata. Il percorso di Kaneki è quello della ricostruzione identitaria attraverso la sofferenza, simile a un disturbo post-traumatico complesso.
Tokyo Ghoul è un anime cupo, ma estremamente potente: ci costringe a riflettere su chi siamo quando perdiamo tutto ciò che ci definiva.

La psicologa dietro 11 tra gli anime più amati: Demon Slayer
“Non importa quanto il dolore ti spezzi. Devi alzarti. Devi andare avanti”.
Demon Slayer è una delle opere più emozionali degli ultimi anni. Il viaggio di Tanjiro è mosso dal dolore, ma non dall’odio. Questo lo rende un personaggio straordinario.
La morte della famiglia e la trasformazione della sorella Nezuko sono un lutto improvviso, devastante. Ma Tanjiro reagisce con compassione, e la sua missione diventa terapeutica: salvare ciò che resta, proteggere la speranza.
Psicologicamente, l’anime esplora la resilienza affettiva: Tanjiro non nega il dolore, ma lo attraversa. I demoni che affronta sono spesso ex umani devastati dal rancore: la sua empatia è un atto di guarigione, non di vendetta.
Demon Slayer è uno dei rari anime shonen in cui la forza nasce dalla gentilezza. E questo, per il nostro cervello emotivo, è potentemente dissonante… e quindi indimenticabile.
Fullmetal Alchemist: il senso di colpa e il principio dello scambio equivalente
“La verità non può essere ottenuta senza sacrificio”.
Fullmetal Alchemist è un trattato di filosofia morale, incastonato in un’epica fantasy. Edward e Alphonse Elric sono due fratelli che, tentando di violare le leggi della natura per riportare in vita la madre, pagano un prezzo altissimo.
La loro storia è una potente allegoria del senso di colpa e della riparazione. Secondo la psicologia, il senso di colpa può essere distruttivo o generativo. In Fullmetal, diventa motore di responsabilità: ogni scelta ha conseguenze, e gli Elric imparano a convivere con l’errore senza lasciarsene distruggere.
Il concetto di “scambio equivalente” è anche una metafora dell’etica esistenziale: nulla si ottiene senza una rinuncia. L’alchimia diventa una forma di conoscenza, ma anche una disciplina morale.
Fullmetal Alchemist ci ricorda che non esiste potere senza consapevolezza. E che crescere significa fare pace con la propria imperfezione.

Jujutsu Kaisen: la rabbia giusta contro il male invisibile
“Morire per gli altri… non significa vivere per loro”.
Jujutsu Kaisen è una delle serie contemporanee più interessanti dal punto di vista psicologico. Il protagonista, Yuji Itadori, è un ragazzo gentile costretto a convivere con un demone interiore: Sukuna.
La trama gioca tutto sul dualismo: umano e mostro, razionalità e impulso, sacrificio e desiderio. Yuji rappresenta la generazione contemporanea che si trova a dover combattere il male in forme sempre più sottili: interiorizzate, psicologiche, strutturali.
I personaggi secondari rafforzano questo impianto: Gojo è l’adulto disilluso ma combattivo; Nobara è la ragazza che rompe gli stereotipi di genere; Megumi è l’eroe silenzioso che lotta contro la rassegnazione.
Jujutsu Kaisen è, in fondo, un inno alla rabbia sana: quella che nasce per difendere, non per distruggere. Ed è per questo che ci parla così tanto. Perché ci dice che anche le emozioni più dure, se ben direzionate, possono diventare forza vitale.

Hunter x Hunter: l’ambivalenza dell’infanzia e il paradosso della crescita
“Sono venuto qui per scoprire perché mio padre ha scelto di essere un Hunter invece che stare con me”.
In questa frase di Gon Freecss c’è già tutto Hunter x Hunter: un’opera che decostruisce lo shonen classico attraverso l’ambiguità morale, l’infanzia ferita e l’identità ambivalente.
Gon è un protagonista atipico: dolce, energico, affettuoso… ma anche profondamente instabile. Quando affronta il dolore, diventa quasi mostruoso: lo dimostra la celebre scena in cui sacrifica tutto per vendicare Kite. La sua rabbia esplosiva è il riflesso di un bambino abbandonato che cerca risposte attraverso l’azione.
Killua, il suo amico, è l’opposto: cresciuto in un ambiente violento e privo d’amore, fatica a fidarsi, a esprimere affetto. La sua evoluzione è il percorso terapeutico più evidente dell’anime: uscire dal trauma dell’infanzia per costruire legami sani.
Ma ciò che rende Hunter x Hunter psicologicamente straordinario è la sua ambiguità: non ci sono veri buoni o cattivi. Personaggi come Hisoka o Meruem incarnano forze complesse, istintive, profondamente umane e disumane allo stesso tempo.
Dal punto di vista psicologico, l’anime è una riflessione sulla perdita dell’innocenza. Su quanto la crescita non sia solo un’evoluzione lineare, ma un conflitto continuo tra ciò che siamo, ciò che vorremmo essere e ciò che il mondo ci costringe a diventare.
Hunter x Hunter non è solo un anime di avventura: è una delle opere più mature e spiazzanti sulla psicologia dell’infanzia mai scritte. E per questo, ci parla così tanto.
La psicologa dietro 11 tra gli anime più amati: l’anime come terapia collettiva
Guardare anime non è una fuga dalla realtà: è, al contrario, un modo per comprendere meglio noi stessi. Le storie che ci restano addosso sono quelle che risuonano con qualcosa di profondo, spesso irrisolto.
Evangelion ci chiede di entrare nel nostro inconscio. Attack on Titan ci interroga sul trauma storico. Naruto ci insegna a non arrenderci. E così via. Ogni anime è uno specchio. E, come nella migliore psicoterapia, ci aiuta a guardarci meglio.
Ed è forse proprio questo il motivo per cui, dopo tanti anni, continuo a guardare anime: perché mi fanno sentire più umano.
Francesco Cogoni.
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