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L’infanzia dell’erba recensione

Di seguito vi proponiamo questa bellissima recensione di Jacopo Chiostri al libro L’infanzia dell’erba di Yuleisy Cruz Lezcano:

‘Siamo venuti al mondo per imparare a vivere e per imparare a morire, in una serie continua di esistenze, accomunati dalle nostre diversità e allontanati dalle nostre paure dei limiti’.

In questa riflessione, progetto e programma esistenziale, scritta in calce alla poesia ‘Creazioni’, è sintetizzata l’anima di ‘L’infanzia dell’erba’, questa raccolta di ‘schegge di vita’ scritte, in maniera copiosa, da Yuleisy Cruz Lezcano; basterebbe, infatti, questa frase, per raccontare il suo lavoro. Che è una lunga, libera, a tratti languida, riflessione sul mondo che lei abita e nel quale rintraccia tutto quanto serve per distillare la bellezza che, nonostante tutto, possiamo fare nostra in tutti i mondi. Soprattutto quelli che ancora non abbiamo conosciuto.

Con l’appoggio, incondizionato, assente fisicamente ma trasparente in ogni rigo scritto, e discreto come deve essere uno ‘spirito guida’, di Tonino Guerra, un po’ in prosa, tanto poetando, la Lezcano ci invita a contemplare assieme a lei finestre magiche (aperte) e a scoprire i tesori, nascosti dietro a una pietra, ma, allo stesso tempo, ci ammonisce a farci uomini che non rinnegano se stessi.

Carlo Di Lieto una volta ha detto che:

“Il poeta scrive perché non può tacere quello che non sa di dover dire”. Vera o falsa che sia quest’affermazione, poche volte abbiamo incontrato un poetare che ne è distante quanto quello della Lezcano, la quale, pur non essendo scevra di apprensioni – ‘Solo chi legge toglie dal dubbio il destino dei miei versi’ – è ben consapevole della generazione che affida alla parola e persegue con vigore la ‘necessità’ di afferrare il mondo e di riempirlo di quello che lei è. Quello che ne scaturisce è una sintesi emozionale tra pensiero e sogno che, nel pure crudele spazio, circoscritto, di una lirica si libera di ogni ovvietà, non si avventura sul terreno irragionevole dei verdetti, bensì registra e con la sapienza poetica si libera dal dogma del proclama: la meraviglia caparbiamente cercata finisce cristallizzata sulla pagina, con una frequenza tanto simile a un battito cardiaco.

L’intenso realismo di Tonino Guerra, che sedusse Pier Paolo Pasolini, diviene nelle liriche della Lezcano un bagaglio a seguito, trasportato non senza fatica, ma abbandonato da una parte quando la ‘bambina’ che abita, assieme, il corpo della ‘poetessa donna’ spicca la corsa verso una ‘libellula, innamorata della perfezione di un fiore silenzioso’, un fiore che, nella suggestione generatrice, veniamo a sapere certamente ‘l’aspetta tutte le sere’.

Il topos di questo viaggio, nel quale siamo sedotti (e istruiti) dalle convergenze e fusioni che moltiplicano all’infinito il suono di accostamenti che ci erano, colpevolmente, sfuggiti, è nella capacità della poetessa di rendere universale la sua obiezione, e dal trarre sostentamento per questo sua, e nostra, discesa nell’arena dove quotidianamente combattiamo i nostri fantasmi, dall’antitetica osservazione della discesa ‘di una piuma dal campanile della chiesa’ che nel suo discendere, inevitabile ma senza fretta, verso terra, rappresenta nient’altro – e non è poca cosa – che una possibilità.

Il poeta è come il funambolo che cammina sul filo,

lassù, in alto, e il suo percorso risente del vento, ma sarà solo saltando dalla ‘rupe’ che vincerà le sue paure; non occorre aspettare la venuta di un nuovo Dio – che, nel caso, crocifiggeremmo ancora – perché, com’è scritto nella raccolta ‘le piccole cose non sono inferiori alla pensosa domanda di chi le abbia create’ (e come non essere d’accordo?!).

C’è in questo fluire, magico, di ricordi, accostamenti, aggiustamenti che ci accompagna in un lungo viaggio nell’intimità, svelata, di una giovane donna, l’evidenza che ‘occorreva farlo’ che, solo così le è stato poi possibile riprendere il cammino: la memoria non ammette compromessi, e la speculazione poetica viene in suo soccorso per placarne la sete e per permetterle di continuare ad esistere ed essere, un po’ pedantemente, utile.

E’ scritto in ‘L’infanzia dell’erba’ – e quante volte lo abbiamo pensato, quante volte, affamati di vita lo abbiamo chiesto, quante volte siamo scesi

a patti col destino e con l’ineluttabilità della fine – : ‘Non posso morire oggi, oggi costruisco un ponte per spostare i miei racconti, per camminare con i versi di quei giorni persi a cercare un legame con la vita’; non possiamo morire oggi, soprattutto – aggiungiamo – non possiamo e non dobbiamo, morire prima di aver capito, e sia lode a coloro, contadini, navigatori, sognatori o scienziati e, perché no, poeti che ci confortano raccomandando di non prenderci troppo sul serio perché, in fondo, non c’è granché da capire, se non, come, ha voluto testimoniare proprio la Lezcano, ascoltando il divino che è in ciascuno di noi.

E’ la Lezcano uno di quei certi poeti che direbbe Goethe ‘sanno di terra’ e che, aggiungiamo noi, con le loro opere rappresentano un’attendibile antitesi allo sterile, freddo cerebralismo che nutre tanta letteratura contemporanea, intrisa di nichilismo e d’iconoclastia frutti di una spasmodica ricerca di valori non convenzionali.

Lei scrive di cantare per i poeti, per quelli che amano la poesia e per quelli che odiano la poesia, in definitiva non fa altro che ‘eseguire’ quanto diceva Schumann: ‘il dovere dell’artista è mandare luce dentro le tenebre dei cuori degli uomini’.

Jacopo Chiostri

L’infanzia dell’erba recensione di Jacopo Chiostri

-L’infanzia dell’erba recensione-

Jacopo Chiostri, giornalista fiorentino, nasce a Milano nel 1952,


diplomato al Liceo Classico Dante di Firenze, si è iscritto all’Albo dei giornalisti dal 1981 dopo aver collaborato a La Nazione, L’Avvenire, La Città; per 12 anni, addetto stampa della Confartigianato del capoluogo toscano, oggi, giornalista free lance, collabora, in maniera continuativa con Il Sole 24 Ore, per la quale testata dal 2001 ha prodotto 500 articoli;
scrive poi per altri nove tra quotidiani e periodici e dirige il giornale on-line Focus Professioni, (www.Focus Professioni.it) dedicato ai professionisti toscani non iscritti ad un Ordine professionale. ‘Cemento armato’ è il suo primo romanzo, un poliziesco ‘alla Giuttari’ ambientato a Firenze dove arrivano gli echi della costruzione di un villaggio turistico sulla costa maremmana (una ‘sana’ gettata di cemento) e la storia, tragica, di una giovane donna che, indirettamente a causa delle
molestie subite dal datore di lavoro, perderà la vita; la storia, una storia ‘attuale e possibile’, ribalta alcuni luoghi comuni del genere: l’assassino, infatti, si conosce fin da subito, e il romanzo ruota attorno all’indagine che il protagonista, un commissario di Ps di nome Giandomenico Giusti, conduce per catturare gli autori di due omicidi, inizialmente inspiegabili;
in ultimo i ‘buoni’ vinceranno, ma, come spesso accade nella realtà, la vittoria è di quelle che lasciano l’amaro in bocca.

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