Longlegs: Recensione a caldo
ALLERTA SPOILER: per chi non avesse visto Longlegs e volesse evitare gli spoiler non proseguite alla lettura della recensione.
Lo ammetto: forse sarebbe stato meglio non capirlo pienamente. Ma forse capire non è possibile, e nemmeno necessario. A costo di rischiare l’ira e l’odio del lettore che ha amato il film.
Longlegs sembra un labirinto di suggestioni horror e thriller, un mix letale di cliché sparati a raffica come in un gioco a premi, in una sceneggiatura che fatica a trovare il proprio baricentro, troppo piena di buchi di trama. La premessa è intrigante: un’indagine dell’FBI che dal pratico si sposta verso il soprannaturale. Un twist promettente, se solo fosse stato sviluppato con più attenzione.
Ma il mistero nel film è più aggrovigliato che avvincente; alla fine, la risoluzione è così assurda che sfocia nel comico o peggio, nell’inutilità di qualsiasi risoluzione del mistero.
Abbiamo infatti investigatori dell’FBI che non vedono oltre il loro naso, che non comunicano, che sembrano più concentrati sulle speculazioni e gli enigmi che sulle indagini reali. Prima tra questi la giovane detective “quasi veggente”.
Longlegs nel film
E poi c’è lui, Longlegs, il serial killer interpretato da Nicolas Cage, in una delle sue performance più sopra le righe della carriera. Urla, si dimena, a volte canta; i suoi dialoghi sembrano usciti da un universo parallelo e la sua espressione riesce quasi a convincere quando non rasenta la parodia. Sul piano tecnico, il film oscilla: la regia di Oz Perkins è visivamente curata, ottima fotografia e scelte coloristiche, ma è soffocata da un’atmosfera pesante, ridondante nel voler creare disagio e suspense a tutti i costi. Il ritmo pachidermico, i dialoghi robotici, le recitazioni ingessate rendono tutto faticoso da seguire. Persino i jumpscare sembrano gettati lì per caso, accompagnati da urla del satanista Cage che più esasperato non si può. In cui l’interpretazione se pur a tratti eccezionale, ci fa rendere felici dell’unica scena di sangue fresco veramente forte, quella in cui si spappola da solo la faccia a testate.
Longlegs è strutturato in tre atti, ma si affloscia già dal secondo. L’ultimo è uno spiegone surreale che dovrebbe colpire come un colpo di scena… ma ha più l’effetto di una pubblicità malriuscita. In fondo, potrebbe esserci un enigma da risolvere, un codice nascosto che la protagonista tenta di decifrare. Ma anche quando lo decifra sembra inutile quanto i messaggi lasciati dal Serial Killer. Che alla fine dei conti altro non era che un costruttore di bambole che lasciava un seme dell’influenza di satana nelle sue creazioni. Influenza che sembrava convincere tacitamente chiunque senza possibilità di scelta. E questo, forse, è il vero fallimento di Longlegs.
Una grande occasione mancata
Una grande occasione mancata perché aveva tutte le carte in regola per essere un gran bel film. Ma se questi fatti immersi nel mistero, risultano irrisolvibili perché il libero arbitrio dei personaggi è compromesso da qualcosa di soprannaturale, come può essere abbastanza intrigante da farci venir voglia di risolverlo?
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