“Dialogo sull’arte letteraria ed altri vortici” di Emanuele Cioglia.

Oggi vi presento un dialogo di Emanuele Cioglia sull’arte letteraria, sia con accenni al suo aspetto tecnico che sul senso dello scrivere più in generale.

Ecco a voi il testo integrale:

Dialogare intorno al senso della narrativa, e della scrittura in generale, in genere mi sembra un esercizio pericoloso, come entrare in una rotatoria con l’auto e non uscirne più. Dapprima ti annoi, poi ti confondi, perdi l’orientamento, ed esci di testa. E’ questo il motivo per cui, in genere, preferisco provare, coi miei centomila dubbi, a narrare delle storie piuttosto che a fare il critico letterario, e sparare raffiche parolaie contro i colleghi e il sistema. Il motivo per cui scrivo questo articolo, è aprire uno spiffero sui miei centomila dubbi, e richiudere subito la finestra prima che il vento mi scaraventi dentro l’uragano.

Eccola la tempesta imperfetta:

Abbiamo un’idea. Vogliamo raccontare una storia. Ci mettiamo davanti al pc, o se preferite prendiamo una bic, e proviamo a buttare giù righe di Word o d’inchiostro. Approccio romantico. Ma è corretto? Cosa stiamo facendo? Molti dicono “bisogna avere un plot”, cioè la trama, il progetto ben delineato, strutturato, e farsi lo schema, la lista dei personaggi, i sentimenti che ciascuno di essi vuole rappresentare: l’ingenuo, il buono, il cattivo, il religioso, l’ateo, il perplesso, l’infido, e via discorrendo… Allora il plot è la barca per salvarci nella tempesta? Probabilmente, nei college americani dove si studia scrittura e si sfornano scrittori più o meno bravi, vi direbbero di sì. Ma anche lì, ci sarebbero tra i docenti i dubitativi, i bruchi che marciscono le certezze.

Vi lascio giocoforza l’interrogativo e i puntini di sospensione… E come un filosofo pironniano qualsiasi sospendo anche io il giudizio…

Esperienze, posso narrare, ed esperienze vi do. Quando scrivo infatti recito a soggetto, non riesco a chiarirmi in anticipo dove stia andando, né tantomeno dove voglia condurre. O meglio l’idea può venire cammin facendo, come quando si esce a fare una passeggiata. A continuare per metafore, si va a fari spenti, al chiaror di luna, si odora il buio, si rischia il collo, ma prima o poi arriva il giorno, cioè il romanzo compiuto, forse…

Sono dunque un confusionario? Un casinista? Un cialtrone? Un pazzo che la mattina si alza e si veste con un cappotto e un paio di boxer da mare? Oppure sto rifiutando di finire come un quadro, inchiodato ad una parete, con una cornice? Chi lo sa…

Appelliamoci agli illustri colleghi per delucidarci i dubbi, per rimuovere dal parabrezza i fastidiosi moscerini. Esaminiamone alcuni (di scrittori, non di moscerini). Lansdale, dà l’idea di averlo sempre un plot, nonostante i suoi scoppi di pulp, a me piace molto. Bukowsky, scriveva racconti, raramente romanzi, e in testa aveva tutto meno che un plot, raccontava la sua vita e lo faceva in maniera molto interessante, usando la poetica dello sporcaccione. Camilleri un plot in mente ce l’ha sempre, anche adesso che gli tracimano di lacrime gli occhi ciechi di vecchiaia, ma inserisce intermezzi narrativi, quasi caroselli, per darci il suo punto di vista, la sua opinione, invece Manuel Vasquez Montalban mi sembrò molto poco ploterato, e Carvalho un anarchico umoristico. Scrittori monumentali come Pamuk, Mo Yan, Murakami (Nobel e gente da Nobel per intenderci) ce l’hanno il plot? A me sembra sì e no, nel senso che a volte sviluppano certamente un’idea, la portano avanti, la chiudono, ma non di sicuro con la precisione svizzera di Agatha Christie.

A proposito di gialli, uno stimatissimo amico mi ha rimproverato di aspettarsi da me le tecniche del giallista. Suspense, tensione, verosimiglianza, acume, nascondimento feroce delle intenzioni dell’autore… Qui mi viene in mente Psyco, dove a meno di metà della pellicola l’assassino era già sui riflettori. Dubbi, dubbi, abbi dubbi, non abbi dubbi? Io forse sono un po’ Psyco, non faccio gialli, l’hanno detto persino all’università che io (s)confeziono semmai i gialli, concepisco anti-gialli. Qualcuno li ha definiti thriller, altri dei libri umoristici, pulp, sarcastici. Un’altra cara amica, esperta di letteratura, docente di letteratura, mi ha rivelato che io sto nel Noir, senz’ombra di dubbio. Dubbio? Abbi dubbi? Dubbio. Almeno saranno romanzi? Sì o no? Dubbio. Ma è poi così importante catalogare tutto? Per Aristotele!

In piena tempesta di dubbi, spostiamoci su un altro frangente, al riparo. Plot o non plot un libro buono si distingue da un libro cattivo. Non so perché, non so a voi, ma a me riesce. Perché? Dubbio. Forse perché se ci vedo un obiettivo, del lavoro, uno sforzo, qualcosa che mi sappia comunicare, lo riesco a percepire. Se l’ingenuità del dilettante, è risolta, plot o non plot, capisco che c’è una ricerca. E allora qui mi sentirei rassicurato, come Socrate quando dava battaglia ai sofisti in nome della verità. Però subito dopo penso a tutti i libri buoni che ad altri non sono piaciuti, e torna il vento, infuria la bufera, e mi viene l’emicrania.

Su di me hanno detto: “Mi hai lasciato incollato dalla prima all’ultima pagina!” Su di me hanno detto: “Non sono riuscito a leggerti. Ti ho mollato…” Allora il sofista sbuca dalla fogna, come It, e con una grinfia ci trascina tutti nel tombino. A proposito, che plot avevano le 1300 pagine di It? Ce l’avevano, ma a volte sembrava molto nascosto.

Comunque io nei miei libri il plot lo vedo, va un po’ avanti e un po’ indietro, qualche volta si ferma, e non so bene se trasformandolo in un orologio svizzero la mia scrittura migliorerebbe.

Non lo so, maledetto Clown Sofista. E chiudi la porta che entrano le trombe d’arie.

Da buon pirroniano sospendo il giudizio e faccio un piretto.

Emanuele Cioglia.

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