INTERVISTA A GINO DI COSTANZO

Quando e come nasce il tuo percorso artistico?

Potrei dire da bambino, in quella particolare età da scuola elementare in cui le cose si fanno spesso per imitazione.

Scopiazzavo mio padre, pittore dilettante, sedendo accanto a lui mentre dipingeva ad olio, rubando pennelli e colori e tentando di replicare i suoi paesaggi.

Non so se si può definire “nascita di un percorso artistico”, io preferisco parlare di “imprinting”, mi sembra più appropriato.
Quali artisti hanno influenzato maggiormente il tuo lavoro?

Tutti quelli di cui ho visto le opere, di persona e sui libri di storia dell’arte. Suona generico ma è così.

Tutto si sedimenta e riemerge dalle setole, anche se, naturalmente, ho delle preferenze.

Per quanto mi riguarda la pittura europea, a cavallo tra ottocento e novecento e quella degli anni immediatamente successivi, il periodo delle cosiddette “avanguardie” storiche, è tutt’ora insuperata come capacità espressiva e carica dirompente dei vecchi schemi accademici.

Le opere di Klee, Kandinskji, Malevich fanno parte del mio dna, insieme a quelle di innumerevoli altri autori.

Evito anche solo di tentarne un elenco.

Amo molto anche l’espressionismo astratto, il cui linguaggio non è estraneo alla mia indole pittorica.

Mi tengo comunque sempre aggiornato su ciò che accade nel mondo della pittura contemporanea.
Cosa cerchi in arte?

In Arte, se mi è consentito il gioco di parole, cerco di non essere un Artista.

Trovo il termine troppo omologante, nel suo uso corrente.

Dice poco della persona e troppo del suo abito sociale, spesso arbitrariamente indossato.

Oggi tutti sono “artisti”, basta aver dipinto o scolpito o scritto qualcosa per un po’ di tempo, per tre o quattro domeniche al mese.

Io vorrei potermi definire Pittore, il che sarebbe già molto: essere “pittore” è un punto di arrivo, non di partenza.

Ecco, cerco il mio essere pittore nella misura in cui perseguo la padronanza di un linguaggio e la relativa capacità di dire.

In particolare vorrei affermare che la pittura con i suoi segni ha significato di per sé, e che non necessariamente ci debbano essere nei dipinti cripto-messaggi che solo presunti “addetti ai lavori” possano decodificare.

Le emozioni sono alla portata di tutti, a prescindere dal grado di raffinatezza della propria cultura visiva.

Per quanto mi riguarda, e senza falsa modestia, mi sento un “apprendista”, e, conoscendomi, è il sentimento che mi accompagnerà tutta la vita.


C’è una parte della tua ricerca di cui vorresti parlare in particolare?

Essenzialmente sono un astrattista geometrico (definizione che risulta parziale, come accade ogni volta che si vuole incasellare l’espressione umana) ed indago l’assemblaggio di segni estremamente semplici: la linea retta (non ci sono quasi mai linee curve nei miei dipinti) triangoli e quadrilateri; quindi morbide campiture sfumate di colore.

Nulla di più elementare.

Eppure credo che quanto più siano semplici i segni che si utilizzano nella comunicazione pittorica, tanto più siano infinite la potenzialità espressive che essi nascondono.

Del resto sono un architetto, e la geometria fa parte della mia formazione universitaria e lavorativa.
Qual è il tuo rapporto con il mercato?

Forse sono la persona meno indicata per rispondere a questa domanda.

Non ho reali rapporti col mercato ufficiale, nel senso che nessun gallerista o mercante d’arte mi ha mai preso sotto tutela, né l’ho mai cercato seriamente, per la verità.

Tranne un paio di volte, quando ancora vivevo ed operavo a Napoli, la mia città natale.

Alcuni operatori del mercato artistico mi proposero accordi commerciali talmente particolari da farmi sentire preso per il collo, sfruttato.

Ne fui disgustato, così rinunciai a cercare ancora in quel mondo.

Magari sbagliando, non saprei.

Attualmente faccio da solo: attraverso le mie relazioni umane, dirette ed indirette, scovo i posti per esporre e mi faccio pubblicità a mie spese, utilizzando anche il web.

Soprattutto non dipingo ciò che è di moda, ciò che si vende perché fa tendenza.

Cosa consiglieresti ad un artista che vorrebbe vivere d’arte?

Non è un percorso facile, certo, ma è il mio.

Non vorrei scoraggiare nessuno, ma, se si possiede una propria integrità morale, vivere di pittura è ancora più difficile in una società mercantile come la nostra.

Tutto ciò che posso consigliare per vivere d’arte è lavorare sodo ed essere contenti dei propri progressi, senza mai sentirsi realmente soddisfatti.

Ci vuole una grande spinta interiore per migliorarsi.

Poi studiare gli altri pittori, leggere molto, andare al cinema, darsi una consistenza culturale interdisciplinare che aiuti a sostanziare i propri dipinti.


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Francesco Cogoni.

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