INTERVISTA A MARIA ANTONIETTA PINNA
Quando e come nasce il tuo percorso artistico?
Ho sempre molte incertezze nell’affrontate le definizioni in un mondo in cui tutti cercano di fregiarsi del titolo di “artista”.
L’arte per sua natura definisce l’impalpabile attraverso un linguaggio e io cerco solo di comunicare.
Ho iniziato con la scrittura.
Due mesi dopo che un noto scrittore mi profetizzasse che non avrei pubblicato mai, ho pubblicato il mio primo libro, un saggio sulla storia delle istituzioni carcerarie, con particolare attenzione alle prigioni galleggianti.
Successivamente è nato il mio primo romanzo cui sono seguiti altri libri di saggistica, teatro, poesie e narrativa, pubblicati con diversi editori.
Recentemente ho pubblicato l’opera teatrale I gelsi neri, poi ho deciso di completare il mio percorso letterario con la pittura e ho iniziato a disegnare e dipingere le copertine dei miei ultimi libri: Il dio mangiato, un saggio con una copertina che ho dipinto a tecnica mista.
Al suo interno il libro ha diverse tavole illustrate che completano il significato della scrittura.
Utensili sparsi, è una raccolta di liriche.
La copertina è un olio su tela, dipinto in modo molto semplice a toni chiari.
Il filo conduttore è un antiromanzo dialogico con scrittura minimalista, una sorta di giallo esistenziale e metastorico.
Tibbs and Tibbs è un testo di narrativa onirica giocato sull’ambiguità, il doppio e l’umbratile, in versione bilingue italiano e inglese.
Con Cosimo Dino-Guida abbiamo poi scritto L’estinzione dell’atomo pensante, un testo teatrale nato da una conversazione sulla morte e sulla religione.
Questi ultimi libri sono stati pubblicati da Nettarget editore e ho curato io le copertine e le eventuali illustrazioni interne.
Ho altri libri in preparazione, la mia tesi di laurea, per esempio, quella per cui da anni sto in causa con una docente universitaria che ho denunciato per plagio letterario.
Finalmente il lavoro verrà pubblicato con il nome di chi l’ha scritto.
Inoltre sto lavorando a un saggio storico per un libro di favole che avrà anche le mie illustrazioni, contemporaneamente scrivo una raccolta di liriche sperimentali basate sul principio del neologismo autoermeneutico, io lo chiamo così.
In parole semplici, liriche che contengono dei neologismi che però si spiegano da sé, si autospiegano nel momento stesso in cui il lettore legge.
I neologismi sono incastrati in modo che si capiscano.
La poesia si deve capire.
Sono contraria sia all’eccessiva semplificazione in poesia, sia ad un ermetismo duro ed eccessivo.
Intanto mi diverto a dipingere sperimentando nuove tecniche.
Quali persone, artisti ed episodi hanno influenzato maggiormente il tuo lavoro?
Chi scrive è come se lavorasse sempre, basta uscire di casa per farsi influenzare, l’osservazione è fondamentale, se si ha una base culturale, con i sensi si può vedere e gustare il mondo che poi verrà fissato metaforicamente sulla carta o rappresentato spero non pedissequamente su una tela.
Io amo l’assurdo e l’onirismo, perciò mi piacciono i non-sense di Ionesco, la genialità di Wilde, la forza di Brecht, la potenza espressiva di Jebeleanu e amo molto la saggistica filosofico-esoterica.
Leggere è la base, al resto ci pensa l’esperienza, la vita e la tastiera di fronte allo spazio bianco come scandalo da riempire di bugie per dire sempre la verità.
Cosa cerchi attraverso l’arte?
La libertà di non avere condizionamenti, di lavorare con l’anima senza pensare faccio questo per qualcosa o per ottenere…
Si scrive per scrivere, semplicemente e si dipinge per dipingere, come agiti da una forza, noi non decidiamo nulla.
Penso che sia l’arte a scegliere e a decidere cosa fare di noi e poi il tempo sarà il gran giudice, deciderà cosa fare di quella che noi pomposamente chiamiamo la nostra “arte”.
Porto sempre con me un taccuino con una penna, perché quando le idee premono occorre catturarle e non hanno pazienza, vogliono uscire fuori dalla testa nei momenti meno opportuni, anche quando sei impegnata a fare altre cose.
Perciò è tutto molto naturale, senza forzature, non c’è sforzo nella scrittura e nemmeno nella pittura.
Per me scrivere e dipingere sono attività rilassanti che consistono nel seguire l’anima.
C’è una parte della tua ricerca di cui vorresti parlare in particolare?
Tutto quello che scrivo, dalla narrativa, alla poesia, alla saggistica, al teatro, ha un rapporto molto stretto con il dubbio.
Non faccio letteratura didascalica perché non è mia intenzione insegnare nulla, non faccio letteratura commerciale perché quello che si legge nei miei libri va anche oltre quello che si legge.
Potrebbe sembrare un paradosso, o un’affermazione senza senso, ma di fatto è così.
Il mio lettore ideale sa leggere tra le righe, sa decifrare il simbolo e cogliere dei rapporti di forza e magia che ad una lettura superficiale non si vedono.
Pongo dubbi.
Credo che il dubbio sia l’unica forza che abbiamo, quella che aziona il meccanismo del pensiero e ci fa scoprire nuove connessioni, ci fa andare lontano.
Per esempio il mio ultimo saggio ha suscitato qualche polemica perché contiene le testimonianze di un ex sacerdote su un tema molto delicato: la pedofilia all’interno della chiesa.
Il sacerdote poi si è pentito di aver parlato e ha fatto dietro-front, ha fatto sapere a me e all’editore, Cosimo Dino-Guida che non tutti sarebbero stati felici della pubblicazione, dato che, testuale “poteva dar fastidio a qualcuno”.
Allora nel libro il meccanismo del dubbio ha cominciato a macinare domande.
Perché l’ex prete, Mario Lozzi, prima rende le testimonianze poi si pente e addirittura ci minaccia di denuncia?
Perché, dato che sapeva degli abusi perpetrati da certi preti a danno di minori, è stato zitto per anni e ha permesso che i molestatori venissero semplicemente trasferiti a un’altra curia, senza avvertire le autorità?
Che fine hanno fatto questi molestatori?
Sono stati puniti?
E se sì come?
Ecco queste sono domande che pone il mio libro.
Qual’è il tuo rapporto con il mercato?
Molto molto difficile.
In Italia c’è il monopolio.
Per un autore poco noto che non pubblica con i grossi editori, affermarsi e vendere è davvero la parte più complicata.
I piccoli editori hanno il problema che non disponendo del capitale di quelli grossi, hanno una distribuzione limitata, inoltre le difficoltà aumentano quando si propongono dei libri alternativi e non commerciali.
La grossa editoria, quella dei grandi numeri, non ama i libri che creano dubbi, che fanno pensare, preferisce l’innocuo, il libro svago che distrae le masse, perché pensare è sempre molto pericoloso e chi induce a fare quest’operazione così pericolosa, non è visto di buon occhio a meno che non sia presentato da qualcuno che conta e io non conosco nessuno né frequento salotti alla ricerca del famoso Qualcuno.
Cosa consiglieresti ad un artista che vorrebbe vivere d’arte?
Di cercarsi un altro lavoro e di vivere l’arte come una ricerca per l’anima.
Mammona può aspettare. Bukowsky lavorava alle poste.
Francesco Cogoni.