INTERVISTA A DAVIDE FERRARESI
Quando e come nasce il tuo percorso artistico fotografico?
Fin da ragazzino mi sono ritrovato tra fotocamere, obiettivi, rullini, bacinelle, taniche di sviluppo, la luce ambra della camera oscura.
Mio padre era un fotoamatore evoluto che mi ha trasmesso la passione ed insegnato la tecnica, di mio c’ho messo lo studio e l’amore per l’arte figurativa praticata negli anni del liceo poi abbandonata per altri innamoramenti come il cinema o la scrittura.
Inutile dire che con l’avvento del digitale mi si sono spalancate le porte della capacità espressiva del medium fotografico che con la fotografia “argentica” prima mi sognavo, in termini di costi fondamentalmente.
Ho fin da subito approfittato della possibilità di utilizzare vecchie (a volte antiche) ottiche manuali su supporto digitale, cogliendo tantissime possibilità espressive e divertendomi come un matto e con tanti matti che, come me, praticano l’utilizzo di lenti “vintage”.
Quali artisti hanno influenzato maggiormente il tuo lavoro?
Ho tante madri e tanti padri non esclusivamente fotografi, preferisco però il termine “ispirato” che è meno radicale di “influenzato”!
Molta ispirazione più che dalle foto dei Maestri mi deriva dal Cinema, dalla pittura, ritengo che l’approccio debba tener conto sì della strada tracciata dai grandi ma essere comunque incluso in una cornice formale, pittorica che è prototipica per l’Umanità mentre la fotografia si è appena appoggiata al nostro DNA non ne fa ancora parte integrante.
Cosa cerchi di cogliere ed esprimere attraverso la fotografia?
Prima di qualsiasi filosofia, di facile teoretica pongo innanzi a tutto il divertimento: scatto per divertirmi e anche per esprimere l’empatia del momento, mi emoziona una determinata luce o un determinato contesto allora “click”!
Poi cerco la struttura effimera, sfuggente, dell’immagine in modo che sia non replicabile; amo fotografare cieli nuvolosi, panorami con tanto cielo (se lo sapesse D.W Griffith s’incavolerebbe!), attendo attimi di luce ottimale per dipingere di magia elementi paesaggistici banali come pali del telefono, tralicci o cartelli stradali.
Mi diverto a non pormi dei vincoli due scatti a breve distanza possono essere espressione di Minimalismo o di Barocco indifferentemente: mi piace essere libero quando scatto, forse per questo che non amo la fotografia “da reddito” che vincola la riuscita alla mediazione concettuale tra occhio del fotografo e pancia del committente!
C’è una parte della tua ricerca di cui vorresti parlare in particolare?
Sono assolutamente affascinato dalle possibilità tecniche ed espressive date dalle vecchie ottiche montate sulle moderne fotocamere digitali.
Attualmente la mia attrezzatura è ibrida in tal senso, possiedo alcuni corpi digitali su cui monto obiettivi che coprono quattro decadi, dagli anni ’50 agli ’80/’90 per anni di produzione.
La resa è diversa e lo stesso soggetto fotografato con lenti diverse appare diversamente e il dramma, quando scelgo l’attrezzatura per un’uscita, è di non potere portare tutto quello che vorrei ma solo un paio di lenti per fotocamera!
Questo approccio con la sua mutevolezza affascina proprio perché non può sfociare nel “Delta dell’Ovvio” e appaga perché ogni scatto è sudato! Da un po’ di tempo sono tornato anche alla pellicola, B&N esclusivamente, che sviluppo e duplico in digitale.
Devo dire che è molto divertente ritornare all’incertezza dell’”Immagine Latente”, incertezza che diventa una sorta di roulette russa se invece di pellicola fresca carico una pellicola 80 ASA scaduta nel 1981!
Qual è il tuo rapporto con il mercato?
Non so se sia una fortuna ma il Mercato non lo conosco, ne me lo pongo come obiettivo, non credo di arrivare un giorno a vivere grazie agli scatti che faccio o che farò; a volte ho pensato allo scatto della vita che cosa mi potrebbe portare in termini di benefici o celebrità e la circonvoluzione di pensieri ed ipotesi che mi vengono in mente vanno a finire nell’iperbolica visione futuribile: “…magari diventerò, un giorno, fotografo di wallpapers!”
Cosa consiglieresti ad un artista che vorrebbe vivere di quest’arte?
Consiglierei di trovare la propria chiave espressiva, possibilmente distaccata, quantomeno slegata dalle mode del momento (penso alle migliaia di lomografi, di street photographers, che prima o poi devono fare i conti con la statistica che li vede soggetti a ripetersi o a percorrere strade già battute che sono divenute sterili).
Consiglierei di aprirsi al mercato per vivere di scatti e crearsi una nicchia artistica magari anche all’interno della routine della wedding photo ad esempio. Personalmente non mi propongo come fotografo professionista, più che altro perché non campo di questo mestiere ma sono convinto che chi possiede ambizione e tecnica, umiltà e capacità visive può trovare tanti spunti espressivi e commerciali che possono portare a grandi soddisfazioni: è un percorso che è lungo ed impegnativo, la “concorrenza” è tanta ed i risultati non sono mai scontati né immediati, però testa dura e lenti nitide fanno la differenza prima o poi!
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Francesco Cogoni.