Intervista a Emanuele Gregolin
Quando e come nasce il tuo percorso artistico?
Fin da quando ero piccolo ho sempre avuto a cuore le forme delle cose e dunque, disegnavo molto, rapito da quello che mi circondava (in vacanza, a casa, da solo nella mia camera).
E’ certo che tutto nasce da un bisogno e le differenti biografie degli artisti hanno sempre messo in risalto tutto ciò: si crea perché si vuole e non si ha e le forme ed i colori ci aiutano a muoverci alla scoperta del mondo.
Quali persone, artisti ed episodi hanno influenzato maggiormente il tuo lavoro?
Ho avuto la fortuna, attraverso la presenza dei miei genitori, di viaggiare molto in Europa e dunque, di vedere tante cose diverse.
Tutto ciò si alimentava anche attraverso la biblioteca di famiglia che era fonte di scoperta e negli anni, si è sempre più arricchita di elementi nuovi (i libri) che sono gli oggetti migliori, a volte, per compiere i viaggi…
E così, nel tempo, alcune figure d’artisti scoperti nei musei o nelle gallerie, hanno avuto per me una grande importanza (dal 1990, Soutine, Bacon, Varlin, Schiele, Klee, insieme a tanti altri nomi dell’arte, dell’architettura e della musica).
Ho avuto anche la fortuna di conoscere personalmente artisti importanti e di avere, a volte, loro piccole opere che dedicavano a me…
Cosa cerchi attraverso l’arte?
E’ difficile rispondere a questa domanda…
Ogni artista deve avere un suo mondo, una sua visione fatta di registri anche diversi ma tenuti insieme da un “filo”.
Certo, posso dire però, che è lo “spazio”, il campo dell’opera, la riflessione ed i rapporti con le cose, che mi ha sempre interessato nel mio lavoro, sia per le creazioni pittoriche che per quelle d’installazione realizzate.
Un elemento, poi, sacro, per me, è stato e rimane sempre il colore, il suo corpo, la sua energia…
C’è una parte della tua ricerca di cui vorresti parlare in particolare?
No, non vorrei parlare qui di una parte della mia ricerca perché tutto in realtà si muove con relazioni sottili e continue.
Qual è il tuo rapporto con il mercato?
Il mercato lo vivo, certo, essendo le mie opere trattate da alcune Gallerie italiane.
Trovo però, ultimamente, molto cambiato rispetto ai miei anni ’90, il rapporto che viviamo con il mercato dell’arte: son cambiati i collezionisti, la cultura e lo sguardo a volte non sono al livello di prima e tutto scorre con troppa velocità…
Di fronte ad un certa ricchezza che è sorta, ho notato anche un certo impoverimento culturale che non ha fatto bene, all’arte, e alla società, favorendo figure a volte di poco peso…
Cosa consiglieresti ad un artista che vorrebbe vivere d’arte?
E’ difficile dare consigli perché ognuno deve confrontarsi con se stesso e mettersi alla prova, sbagliando, anche e cercando di capire cosa c’è di fronte a lui e cosa, lui, è.
Bisogna vedere molto, però, molto e con gli occhi attenti.
Io ho avuto una formazione eterogenea poiché ho fatto studi d’arte, architettura e musica e tutto questo, per me, è stato importante…
Certo, tutto sta diventando sempre più difficile ma se realmente una persona crede nell’arte, la deve sposare, deve entrare in lei e viverla, per sentirsi vivi anche se molto spesso, vi sono amarezze tremende…
Unite a grandi soddisfazioni…
Ognuno, certamente, ha la sua storia e destino e se hai un sogno forte, devi lottare.
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Francesco Cogoni.