INTERVISTA A FRANCESCO MELIS
Quando e come nasce la tua passione per la scrittura e per l’arte?
Incomincio a scrivere poesie come molti adolescenti verso i 16 anni, nel mezzo delle crisi esistenziali ed ormonali dell’età.
Scrivo tantissimo e ogni qualvolta sentivo lo stomaco brontolare.
Perché?
Per sopravvivere.
Credo veramente nel potere catartico e salvifico dell’arte e quindi anche della scrittura.
Da allora son passati più di 25 anni ed era arrivato il momento di uscire con una raccolta.
Ho trovato nel Cenacolo di Ares il partner giusto per portare in stampa questo progetto composto da un centinaio di poesie/testi scritti negli ultimi 5 anni circa.
Quali persone, situazioni, scrittori e artisti hanno influenzato maggiormente il tuo lavoro?
Paradossalmente ho incominciato prima a scrivere che a leggere (poesia) per i motivi già detti.
Autori e correnti che hanno influenzato la mia passione di lettore e scrittore sono diversi.
Ad incominciare da quelle che ci propinano a scuola: Ungaretti, Montale, Leopradi, i futuristi, ma ho un ricordo particolarmente acceso per “gli scapigliati”, poi verismo, decadentismo, ermetismo, fra le correnti italiane.
Dove la poesia non era mera espressione del bello ma un po antiromantica, decadente e manifestazione di stati d’animo inquieti e/o di protesta, in particolare verso una società spesso iniqua e poco sensibile alle diversità e divergenze di pensiero e personalità.
Lessi in giovane età Dino Campana, un po l’emblema dei “poeti maledetti” di casa nostra.
Ma non solo: sicuramente Alda Merini -oggi molto commerciale- ma anche i classici italiani e non, la beat generation di Ferlinghetti e soci, Garcia Lorca e Jimenez, sino ad arrivare a Bukowski, ma passando obbligatoriamente per Rimbaud, Baudelaire, Dylan Tomas e tanto altro, senza tralasciare il cantautorato poetico di Bob Dylan, Lou Reed, Cat Stevens, Leonard Cohen, Tom Waits, Nick Cave, i Bucley padre e figlio, ma anche Court Cobain, Beck, ecc., ecc., in italia De Andrè e Degregori, Guccini, il primissimo Vasco Rossi, ora Bugo, Agnelli degli After Hours, Lindo Ferretti, e tantissimo altro che non basterebbero 10 interviste.
Cosa vuoi esprimere attraverso queste forme d’arte?
Mah.
Esprimere me con il meno possibile artifizi e maschere anche se non è molto realistico questo.
Mi illudo -ma neanche tanto- che sia un po così.
Che con la poesia si riesca ad esprimere un po di autentico che c’è in noi.
Ma si scrive anche per quietare quel brontolìo di matzamine che ognuno di noi ha e si porta appresso tutta la vita.
Ho scritto spesso invece che spaccarmi la testa al muro o spaccarla a qualcuno.
In particolare in gioventù.
Ora in età più matura scrivo per comunicare col mondo: rabbia, amore, angoscia, dissenso, ecc…un po tutto.
Senza perdere di vista mai il gusto dell’allegoria, assonanza, metafora, rima, ecc…mai…la giocosità della poesia e il suo intrinseco valore estetico…ovvero di sollecitazione dei sensi, tutti.
Quindi la poesia a parer mio dev’essere anche “bella”, ovvero sensibile e di senso, dire qualcosa, emozionare, stranire, far sorridere, bestemmiare o altro, ma mai lasciare indifferenti.
Ci parli del tuo ultimo libro e dei tuoi ultimi lavori?
Si.
Il mio libro appena uscito per ‘Cenacolo di Ares’ -casa editrice indipendente sarda- come ho già detto, concepito e scritto un po per dare voce alla mia personalissima poesia fra il 2010 e e il 2013 che poi ha preso il nome definitivo -ed assolutamente ironico- CREPARE.
D’AMORE E DI ALTRE CATASTROFI.
Non un vero libro d’amore ma sull’amore in senso ampissimo del termine: in quanto tutto è amore.
O assenza di amore.
O ricerca di amore.
O abuso di amore.
O dipendenza.
Ma l’amore è sicuramente fondativo dell’esistenza e dell’ essenza umana.
Volenti o nolenti, siamo amore.
Quindi anche la rabbia, la luce, canti, balli e amenità, i tre altri capitoletti in cui si snocciola la mia raccolta, sono tutte declinazioni dell’amore.
Qual’è il tuo rapporto con le case editrici e con le gallerie e che possibilità ci sono di emergere per un giovane artista, scrittore?
Con l’arte e con la poesia in particolare non si campa certo.
Forse qualcuno con la musica o raramente col teatro e con le arti visive.
Con la letteratura e con la poesia in particolare direi di no.
Quindi si scrive e si fa poesia nonostante tutto.
Nonostante probabilmente non si pubblicherà mai -le case editrici che investono sugli esordienti in modo gratuito sono mosche bianche- nonostante anche pubblicando -nel migliore dei casi senza alcun contributo, come per me- non si vedrà un quattrino né alcuna fama o notorietà, nonostante il luogo comune forse un po vero che il poeta sia sempre un po lo sfigato dell’arte, il tristone, l’arrabbiato, il disadattato, quello che non ne cava piede con la vita.
Quindi direi che si fa poesia solo per passione.
Perché la poesia è un po ovunque.
Come diceva Gianni Rodari spiegando perché scriveva ‘non perchè tutti siano artisti, ma perchè nessun sia più schiavo’.
Quindi posso dire che si scrive non per la fama o per il danaro, vere chimere, ma veramente per liberarsi ed emanciparsi.
Autoformarsi.
Cosa consiglieresti ad un ragazzo che vorrebbe vivere di queste arti?
Forse di non smettere mai il sogno.
Perché solo tenendo vivo il sogno, il sogno stesso può realizzarsi.
Quindi molta follia e incoscienza abbinate a tenacia e tutto può essere possibile.
Quindi una forte determinazione e un cuore puro possono fare la differenza.
Io direi che il pensare alla fama e al denaro vanno bene solo se si è ‘ben accompagnati e sponsorizzati’ e lì d’arte c’è ben poco.
Ma se si è soli, duri e puri come dovrebbe essere il poeta/artista, allora tenacia e sogno sono ed impegno sono le parole magiche.
Almeno ci avremmo provato.
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Francesco Cogoni.