Intervista a Laura Zilocchi
Quando e come nasce il tuo percorso artistico?
Come nasce il mio percorso… nasce probabilmente con me, cioè non ricordo un momento della mia vita in cui non avessi una matita e i colori in mano; alle elementari ricordo che disegnavo sui quaderni angeli con grandi ali, forse perché il mio sogno è sempre stato quello di volare, proprio fisicamente, tanto che ho sempre fatto bellissimi sogni in cui spiccavo il volo dai tetti delle case.
Quali persone, artisti ed episodi hanno influenzato maggiormente il tuo percorso?
Nonostante la mia voglia di disegnare però i miei genitori non mi hanno permesso di frequentare la scuola d’arte per cui ho potuto prendere, a 16 anni, qualche lezione da bravissimi artisti che nella mia cittadina, Guastalla, avevano lo studio in Palazzo Gonzaga dai quali andavo di nascosto.
Ho continuato quindi da sola, nonostante la famiglia e i figli, a dipingere e ad imparare e provare tecniche sempre nuove attraversi i libri poiché non avevo altre possibilità.
Cosa cerchi attraverso la forma d’arte che utilizzi e c’è una parte nella tua ricerca artistica di cui vorresti parlare in particolare?
Devo dire che insieme alla pittura ho sempre portato avanti la passione per la lettura e l’archeologia e a poco più che trentenne mi sono iscritta nel nuovo paese in cui abitavo con la mia famiglia, a un gruppo che si interessava di storia e appunto di archeologia.
Ho tralasciato quindi per alcuni anni la pittura su commissione per dedicarmi alla ricerca cartacea presso archivi di Stato per riuscire a scoprire documenti inediti su quello che era diventato il mio paese, Brescello.
Nel medesimo tempo però tenevo corsi di acquerello nelle scuole e la ludoteca sempre per il Comune.
Perché ti racconto tutto questo?
Perché tutto ciò si è trasformato in un puzzle i cui pezzi si sono incastrati perfettamente l’uno con l’altro, la mia pittura si è unita alla storia dando vita a qualcosa che somiglia, come dicono i critici, ai lavori di artisti del passato, ma non è.
Nel fare ricerche, dalle quali sono poi uscite diverse pubblicazioni edite alcune da una casa editrice e altre dai Comuni per i quali ho lavorato, sono incappata, direi felicemente, nelle scritture degli antichi fenici, in quella degli etruschi, nella simbologia, nei disegni dell’Africa più profonda e ne sono rimasta affascinata.
Ho iniziato così a trasferire sulle tele queste immagini rielaborandole e mischiandole, trovando diverse somiglianze tra popolazioni lontanissime tra loro.
Qual è il tuo rapporto con il mercato?
Il rapporto con il mercato è un rapporto oserei dire sofferto; i miei lavori non sono di facile comprensione e difficili, mentre sino a quando ho eseguito lavori anche su commissione come ritratti, paesaggi, fiori o altro, non c’erano problemi di vendita.
Cosa consiglieresti ad un artista che vorrebbe vivere d’arte?
Un artista che esegue opere diciamo così veriste, se di buona esecuzione può ritagliarsi un mercato personale senza dover avere bisogno di critici o galleristi che ti lancino, al contrario chi fa cose come le mie ha bisogno di farsi conoscere al di fuori della propria cerca ma è faticosissimo.
Io però sono testarda e continuo perché credo in quello che sto facendo: dobbiamo anzi devo, ricordare che se siamo arrivati alla pittura digitale è grazie a chi, nelle grotte, dipingeva pensieri tradotti in immagini con pezzetti carbone o terre o incideva le prime lettere nella creta.
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Francesco Cogoni.