Interviste

INTERVISTA A CARLA MOLLETTINA

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Come nasce Sogno clown?
Come dice il suo nome, Sogno Clown nasce da un sogno.
Un sogno dentro il movimento clown nato all’inizio degli anni 2000.

Il sogno è quello di portare all’interno dei luoghi di cura il sorriso del clown, la sua forza dirompente e la sua grande capacità comunicativa.
Fare il clown sembra una cosa semplice, cosa c’è dietro la formazione di un Clown ?
La formazione è essenziale.
La maggior parte delle cose che accadono in corsia durante gli interventi vengono “improvvisate”, non può esistere un copione da riprodurre alla bisogna.
Per esser capaci di questo, soprattutto in ambienti ad “alta densità emotiva”, bisogna avere alle spalle una formazione che ti permetta, in una manciata di attimi di ascoltare ciò che sta accadendo, attorno e dentro di te, di scegliere la giusta risposta, di comunicarla al tuo compagno ed insieme di costruire un intervento ben riuscito calibrando lo stesso su ciò che accade momento per momento.
E’ necessario aver imparato a gestire le proprie reazioni emotive per non perdere il clown, che altro non è che il nostro bambino interiore.
Cosa si vive in corsia ?
Magia, incanto, divertimento, coinvolgimento, tante risate, tante emozioni e tanta, tantissima umanità…
La corsia è un ambiente particolare, si vive la “cattività” della malattia, con tutte le emozioni che porta: ansia, paura, rabbia, noia… sia per chi è malato che per chi assiste il malato (familiari e operatori…) Il dolore fisico è spesso connesso con tutto questo e anche altro.
Entrare in una stanza come clown dottore ti permette di vivere tutto questo, fartene carico nella durata dell’intervento e modificarlo.
Si entra in ascolto, si lavora con le emozioni che trovi, con quelle che susciti e quando esci, senti l’aria trasformata, più leggera.
Spesso persone ricoverate nella stessa stanza, dopo aver riso insieme trovano dei modi per comunicare tra loro e vivere l’esperienza dell’ospedalizzazione in modo più umano e meno pesante.
Che effetto ha la figura del clown sui pazienti e che effetto ha in genere la sofferenza dei pazienti sulle persone che stanno dentro il Clown ?
Il clown, con il suo camice colorato, i suoi strani abiti e il suo modo di porsi, in genere, genera già un sorriso.
Nella maggior parte delle persone genera immediatamente delle emozioni positive (magari solo curiosità all’inizio) Questo significa aiutarle a spostarsi mentalmente dalla situazione di malessere (che durante l’ospedalizzazione è giustamente vissuta in maniera assoluta e centralizzante) ad una situazione “altra”, probabilmente portatrice di risorse.
Questo è dimostrato da diversi studi condotti sui “pazienti” del clown dottori, ridere ha un impatto positivo sull’organismo sotto diversi punti di vista, sia fisici che psichici.
A livello fisico, sembra che il riso riduca l’ansia e provochi la secrezione di beta-endorfine e catecolamine che sono analgesici naturali apportatori di sensazioni di benessere.
In una ricerca molto bella condotta a Roma su piccoli pazienti che dovevano sottoporsi ad interventi di tonsillectomia, si è verificato addirittura una diminuzione dei giorni di degenza post-operatoria e una più rapida ripresa.
Nelle “persone dentro il clown”, accade esattamente la stessa cosa, a livello fisiologico, aumento delle risorse positive e un effetto onda sulle attività quotidiane.
C’è un’aumentata responsabilizzazione della propria vita, una maggiore cura di sé e un ridimensionamento dell’impatto delle comuni seccature di vita.
Quando inizi a guardare il mondo da dietro il naso clown, la tua visione del mondo tende a cambiare.
Sei più ottimista e cerchi il lato buono di ciò che accade.
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In sostanza cosa cambia nel clown che si rapporta alla piazza da quello che lo fa in reparto?
Nella sostanza, cambia il focus.
In uno spettacolo di strada o nella pratica artistica, tu, anche come clown, sei il centro dello spettacolo, deus ex machina, uno dei tuoi compiti è “essere bravissimo” e tenere la scena.
Sei tu il protagonista principale, il pubblico è tuo.
In corsia, le cose si ribaltano.
Il clown diventa “catalizzatore ed amplificatore” delle emozioni che accadono durante l’intervento, il protagonista è sempre il paziente (o i suoi familiari o gli operatori che si prendono cura di lui).
Per semplificare, durante i giochi di magia, è lui che permette la magia, che è magico, se il clown dottore la fa da solo, non esce mai.
Questo permette al paziente di “sentirsi protagonista della propria scena”, in senso lato anche della propria malattia o meglio, della promozione della propria guarigione.
Quanto è difficile per una Onlus come Sognoclown sopravvivere in tempi di crisi?
Be’… non è facile.
I fondi per la solidarietà sono molto meno (soprattutto quelli provenienti da enti pubblici) e chi dona è molto più accorto nel donare.
La soluzione è proporre progetti concreti, lavorare nella sensibilizzazione delle persone anche a livello locale, fornendo strumenti per verificare la destinazione dei finanziamenti e delle donazioni.
Per questo, noi cerchiamo di garantire degli standard qualitativi alti, formando i nostri clown dottori secondo le direttive nazionali della Federazione Nazionale Clown dottori e seguendoli durante l’attività anche tramite la supervisione.
E cerchiamo di coinvolgere le persone che vogliono sostenerci in attività in cui possono “toccare con mano” la nostra attività.
speranze per il futuro?
Il nostro motto è “… sogniamo insieme!”.
La speranza è di crescere e di portare il clown dottore in nuovi reparti ed in nuovi spazi, ovunque ce ne sia bisogno.
Intanto, abbiamo appena terminato di formare un bel gruppo di nuovi volontari, che adesso stanno muovendo i primi passi da soli in corsia, siamo davvero contenti.
Con loro, contiamo di aprire un nuovo reparto, all’interno di un nuovo ospedale di Cagliari (siamo in attesa della risposta della Direzione Sanitaria) e di fare tanta tanta strada.
E tante tante risate…
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Francesco Cogoni.
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