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INTERVISTA A GIORGIO BINNELLA

Giorgio Binnella insegna scrittura all’Accademia d’Arte di Cagliari. Consulente esterno di comunicazione verbale e paraverbale del
Contamination Lab dell’Università di Cagliari, è presidente di Creative Writers Italia.

Scopriamolo attraverso questa intervista!

Quando e come nasce la passione di GIORGIO BINNELLA per la scrittura?


La passione per la lettura e la scrittura credo siano innate.

Ogni immagine che recupero dalla memoria è collegata ad un libro, un fumetto, una poesia, un pensiero mio che poi è finito sulla carta.

Certamente devo ringraziare mia madre, lei mi spingeva a leggere i libri ad alta voce, il pomeriggio, dopo aver terminato i compiti.

Ho la visione nitida dell’enorme stanza che fungeva da tinello, sala da pranzo, stanza dei giochi, con un tavolo rotondo in fondo a sinistra, vicino alla finestra.

Io stavo in ginocchio sulla sedia, per vedere meglio. Sul tavolo, spesso, c’era un librone enorme, “La bibbia per ragazzi”, zeppo d’immagini e parabole.

Mi sporgevo e leggevo, mentre mia madre rammendava.

La maglieria che possedevo si reggeva quasi interamente sulle toppe e i rammendi.

Quell’enorme libro ha contribuito molto ad alimentare la mia passione per il fantastico.

Lungi da me essere blasfemo, solo che avevo sette anni e il catechismo ancora non occupava i miei pomeriggi.

Da allora ho sempre preferito leggere e ricreare mentalmente luoghi e personaggi, piuttosto che guardare passivamente uno schermo sul quale appaiono immagini preconfezionate.


Quali scrittori hanno influenzato maggiormente il tuo lavoro?


Durante le lezioni di scrittura creativa, che tengo presso l’Accademia d’Arte Santa Caterina, a Cagliari, ripeto come un mantra un sillogismo: l’individuo è la somma delle proprie esperienze, lo scrittore è un individuo, lo scrittore è la somma delle proprie esperienze.

A confortare questa teoria, racconto di come siano nati capolavori come Fahrenheit 451, Delitto e castigo, Sostiene Pereira, e di come solo i loro autori avrebbero potuto scriverli con tanta efficacia.

Quindi anch’io sono la somma delle mie esperienze.

Non ho un riferimento letterario preciso, né come genere letterario né come scrittore.

Sono influenzato dalle emozioni, e seguo la loro scia per creare storie, condividere messaggi.

Questo è ciò che cerco anche in quello che leggo: emozione e messaggio.

Un autore padrone della scrittura, ottimo divulgatore, giocoliere delle metafore, se non mi emoziona e non affida ai suoi personaggi un messaggio da consegnare al lettore, mi ha fatto perdere tempo, e non glielo perdono.

Invece, ammiro sommamente gli scrittori per i quali una riduzione cinematografica si trasformi in film più lungo del libro stesso.

Questo accade quando la scrittura è semplice, lineare, incisiva e precisa, tanto che spostare o eliminare una singola parola farebbe crollare l’intero edificio di parole.

Quando sto scrivendo una storia, mollo la lettura, soprattutto quella degli autori che preferisco, proprio per non lasciarmi contaminare dalle epifanie che trovo nelle loro storie.

Per “Hemingway non verrà”, il romanzo che ho pubblicato pochi mesi fa, cercavo un registro che fosse tipico dell’anno in cui è ambientata la storia, il 1958, così mi sono riletto tutti gli autori italiani del periodo, mischiando le pagine dei vari libri.

Volevo pensare come loro, non scrivere come loro.

La scrittura è venuta di conseguenza. Leggendo il romanzo si respira un’aria di cose passate.

Ecco il primo esempio che mi viene in mente: l’utilizzo di defunse piuttosto di morì.

Un particolare che potrebbe passare inosservato, ma che ho fortemente voluto, e difeso, anche dalle intromissioni dell’editor, per il quale alcuni termini sembravano, giustamente, desueti.


Cosa cerca GIORGIO BINNELLA dalla scrittura?


L’Uomo è un animale sociale, e la comunicazione è l’arma che più utilizza, sia a scopo difensivo che offensivo, la scrittura è comunicazione, quindi l’uomo è naturalmente portato a scrivere… O mamma! Ho creato un altro sillogismo, tutte le forme d’arte sono forme di comunicazione.

La scrittura però è particolare, non si può toccare come una scultura, non se ne può ammirare la forma e i colori come nella pittura, non si può ascoltare meglio alzando il volume come nella musica, e non ha nemmeno un ritmo preciso come questa.

Scrivere bene significa emozionare, condividendo questa responsabilità al lettore, non si può leggere passivamente, la lettura è necessariamente azione.

Il lettore deve ricrearsi mentalmente i luoghi descritti, l’aspetto dei personaggi, il tono dei dialoghi, e lo scrittore deve utilizzare le parole giuste affinché questo accada.

La parola giusta, ecco cosa cerco.

La parola che da sola possa sostenere un’intera pagina.

Non un sinonimo, non una perifrasi o una parafrasi, ma una sola, unica, indispensabile parola.

La parola ha un rapporto diretto con la Creazione, così ci dicono anche i testi religiosi.

Ebbene, io cerco l’illuminazione nelle parole, il contatto più immediato e diretto con il principio creatore che condividiamo con ogni singolo atomo.

Mi sono imbattuto in due traduzioni di Bartleby lo scrivano, nella prima ho letto “lo scricchiolio del pennino sul foglio”, nella seconda, “il frusciare del pennino sul foglio”.

Non sono la stessa cosa! Evocano immagini completamente diverse.

Il traduttore ci ha messo del suo? O ha tradotto letteralmente? Oppure ha tradotto il senso? Quale delle due immagini rispecchia quella che voleva mostrarci Melville? Probabilmente do tanta importanza alla scrittura perché per natura sono timido e parlare in pubblico mi mette soggezione, anche fra amici, di norma sono quello che ascolta.

Ognuno di noi ha bisogno di uno spazio personalissimo, un rifugio, un nido nel quale acciambellarsi e riposare, oppure riflettere, piangere, sfogarsi.

Io ho trovato il mio angolino all’interno delle storie che scrivo.

Potrei quasi affermare che la scrittura è terapeutica, se non temessi di vedere gli infermieri con la camicia di forza in giardino.

C’è una parte della tua ricerca di cui vorresti parlare in particolare?

Stavolta sarò lapidario nel rispondere.

Cerco la trama perfetta, quella che al suo interno contenga il senso del Tutto.

E poiché il Tutto si traduce nell’Uno, la trama che cerco deve essere contenuta in un’unica parola.

E forse questa parola ancora non esiste, oppure l’abbiamo dimenticata, o è conservata su qualche stella lontana.
Qual è il tuo rapporto con le case editrici? Che possibilità ci sono di emergere per un giovane scrittore?
Le case editrici sono principalmente aziende che guadagnano dalla vendita dei libri, Scordiamoci il mecenatismo.

Se un libro è vendibile, allora verrà pubblicato.

Sfortunatamente, la stragrande maggioranza dei libri che si trovano sugli scaffali sono vendibili perché lo è il nome dell’autore.

Un vip che scrive un libro di cucina o di memorie ha più possibilità di essere pubblicato di un autore sconosciuto che abbia scritto un’ottima storia.

Partendo da questa premessa, se un autore ambisce ad essere pubblicato deve rientrare nelle logiche di mercato, che sono relative al luogo e al momento.

AmicoLibro, la casa editrice che pubblica le mie storie, è una piccola casa editrice, quindi non ha in catalogo nomi altisonanti, si affida ancora al valore del testo.

Per questo mi ci trovo a mio agio.

Carmen Salis, non mi ha mai chiesto “chi sei?”, legge attentamente e valuta.

Poi possiamo discuterne, e quasi sempre ha ragione lei, essendo, prima ancora che editrice, giornalista, poetessa e scrittrice di narrativa.

Tengo molto al suo parere perché apprezzo tantissimo il suo modo di scrivere.

A volte è lei a chiedermi un parere circa testi di altri, questo mi gratifica e alimenta il mio ego.

E, a proposito di ego… Se una casa editrice non vi pubblica, se l’agente letterario al quale vi rivolgete non vi risponde, ci sono ottime possibilità che abbiate scritto una schifezza.

Smettiamola di credere di essere incompresi, cerchiamo di riconoscere la professionalità di quelle figure, e la nostra mediocrità.

Se a un agente o a un editore capita fra le mani un buon testo, prima o poi troverà lo spazio adatto e il momento giusto per pubblicarlo.

Affidarsi al self publishing è la soluzione più deleteria per un aspirante scrittore.

Nessuno revisiona il testo, nessuno verifica la coerenza, corregge i refusi, consiglia di tagliare o chiarire questa o quella parte.

Per pubblicare il primo romanzo ci vogliono anni e rimaneggiamenti.

E se questo non basta, seguite un corso di scrittura creativa.

Ho creato il Cantiere di scrittura creativa proprio per dare agli aspiranti scrittori i mezzi per valutare e migliorare le proprie opere.

In America questi corsi sono ordinariamente seguiti nelle università.

Dai vari Master of Creative Writing sono usciti nomi del calibro di Ernest Hemingway e Wiliam Burroghs, tanto per citarne due che sicuramente sono conosciuti dal vasto pubblico dei lettori.


Cosa consiglieresti ad uno scrittore che vorrebbe vivere di solo pane e parole?


Di fare tanti buchi alla cintura! Con l’avvento dell’editoria a pagamento e del self publishing, la vendita di un libro la paragono a una gara di Formula 1 inquinata.

Mi spiego meglio… immagina di essere un pilota di Formula 1, ti presenti al via, attorno a te ci sono macchine potenti quanto la tua, e piloti bravi quanto te.

Scatta il verde e spingi sull’acceleratore.

Curva dopo curva, rettilineo dopo rettilineo, freni, acceleri, sorpassi, vieni sorpassato, rischi di toccarti cogli altri alla velocità media di trecento chilometri orari.

Giungere al traguardo è già un successo, salire sul podio è difficilissimo, per non parlare di tagliare il traguardo per primi.

Perché tutti i concorrenti si equivalgono e sono agguerriti come te.

Se però ti presenti sulla linea di partenza e attorno a te, fra le vetture di Formula 1, ci sono piloti col monopattino, con la bicicletta, sul cavallo, a piedi, questi falseranno la gara, saranno d’impaccio ai piloti veri, ostacoli mobili e pericolosi, pieni di buona volontà, anche in buona fede, ma non attrezzati per competere in una gara di Formula 1.

Ecco, questa è la situazione dell’editoria attuale, scrittori bravi confusi in mezzo a una folla di scrittori mediocri.

Purtroppo, quello che emerge dalle statistiche è scoraggiante, ci sono più scrittori che lettori.

Meglio lasciar perdere la scrittura dei romanzi e dedicarsi ad attività che lambiscono la sfera narrativa e sono certamente più remunerativi, come il blogging, il copywriting, lo storytelling.

Se però sei convinto del tuo, allora stringi i denti e non demordere, continua a studiare, a migliorare la scrittura e soprattutto il modo di presentarti a un editore o a un agente letterario, un particolare che molti mettono in secondo piano.

E soprattutto, scrivi per la soddisfazione che ne trai.

In questa intervista a Giorgio Binnella abbiamo scoperto qualcosa sul suo percorso ed i suoi pensieri, se volete approfondire vi allego i contatti qua sotto!

Contatti: 3284129709
Blog : http://trentunomarzo.blogspot.it/
http://cantierefahrenheit365.blogspot.it/
email: giobin68@yahoo.it
fb: https://www.facebook.com/Giorgio-Binnella-143150645862463/

Francesco Cogoni.

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