Intervista a Fabrizio Acciaro
In questa intervista, Fabrizio Acciaro ci parla della sua vita e del suo percorso artistico tra l’intimo introspettivo e la realtà.
Quando e come nasce il tuo percorso artistico?
Se vogliamo parlare di percorso inteso come professionale, direi che stiamo appena iniziando. Ovvero questa recente è la mia prima personale poiché nella mia vita l’arte è rimasta un interesse intimo e introspettivo che ho coltivato con grande passione, ma tanto riserbo.
Da quando ho acquisito la coordinazione mani-occhi, la mia famiglia ha capito non sarebbe stato facile contenere quel groviglio di idee e immagini che avevo nella testa e nell’anima, infatti ogni qualvolta sfuggivo alla loro supervisione cominciavo a disegnare un po’ovunque, muri compresi.
Più avanti, con una maggiore consapevolezza e la mia dedizione, a volte trascurando anche i miei doveri scolastici, sono riuscito a capire quanto fosse importante per me l’espressione artistica e mi sono iscritto all’ex Liceo del Convento San Giuseppe, oggi Foiso Fois, passando poi all’ex Liceo di Piazza Dettori intraprendendo il curriculum che allora veniva definito “Accademia”.
Ammetto di non essere stato uno studente tra i più brillanti, avevo sicuramente un pizzico di arroganza da adolescente e la mia disciplina veniva spesso intralciata dalle mie intemperanze, per cui sono stato più volte ripreso e costretto a ripete degli esercizi a mio parere “noiosi”.
Successivamente ho capito che l’atteggiamento del mio docente di ornato, Gianpiero Maxia, non serviva a demoralizzarmi, ma a instradarmi verso una tecnica corretta e tutt’ora conservo quegli insegnamenti grazie ai quali sono diventato, in un certo qual modo, anche molto meticoloso e preciso.
Dopo il liceo non ho proseguito quegli studi. In seguito ad una deludente esperienza all’università, ho cominciato a lavorare e deviare la mia attenzione verso altri lidi.
Un mio zio mi aveva consigliato di dedicarmi all’informatica, prestandomi dei libri di teoria che avevo studiato con grande attenzione (al tempo non avevo nemmeno un computer in casa).
Mi decisi a frequentare dei corsi e dal 2007 ho cominciato a insegnare. Lo racconto perché a volte si pensa di seguire i propri sogni in un modo e ci si arriva dalla porta di servizio, un po’come ho fatto io, infatti con l’ausilio delle mie conoscenze informatiche e artistiche sono diventato un grafico e con quelle stesse tecniche ho iniziato a realizzare molti dei miei lavori, dedicandomi anche alla modellazione in 3D.
Ho ricominciato a dipingere, dopo una lunga inattività, nel 2012 e da allora ho cercato di non fermarmi più. Alla pittura accosto la modellazione di soggetti in argilla e plastilina, mi rilassa molto e in più posso sperimentare anche posizioni e strutture per esplorarle ed eseguirle anche su tela.
Sono due cose molto diverse, mi rendo conto, ma le porto avanti in egual modo, cercando di creare delle scene e dei racconti con queste due forme di espressione.
Dopo una collettiva nel 2013 sul tema di “Guerra, Pace e Libertà” dove mi sono cimentato in un lavoro inusuale e che ricalcava le pitture su anfora greca, rilette in chiave contemporanea, sono capitato per una coincidenza felice al May Mask.
Lì ho conosciuto delle persone eccezionali a cui ho mostrato i miei quadri e con tanta fatica e un po’di incredulità e insicurezze da parte mia, abbiamo allestito una personale sulla serie “Underground” iniziata il 28 maggio e ancora visitabile per qualche giorno. Presto verrà ripetuta a Dolianova e –speriamo- anche in altri posti.
Quali persone, artisti ed episodi hanno influenzato maggiormente il tuo percorso?
Direi che certamente devo tantissimo a Van Gogh e Basquiat.
Sono due artisti lontani nel tempo e nelle tecniche, ma accomunati da una sensibilità e debolezza che li ha portati a liberare, in maniera esplosiva, dei colori e delle immagini ancora oggi difficilmente dimenticabili.
Sicuramente alcuni dei miei primi lavori riflettono molto i loro stili, nel tempo sono però riuscito a metabolizzare quell’esperienza visiva ed emozionale riuscendo a trovare il mio.
Forse qualcuno ci vedrà sempre il segno di un artista che mi ha preceduto, ma l’impronta è fisiologica e qualunque pittore ha sentito il peso di chi l’ha preceduto, spesso riproducendolo pur ribaltandolo.
Gli episodi sono quelli che vedo e vivo ogni giorno, parlo anche a livello sociale. Rappresento solo una prospettiva del mondo che ci circonda, la mia, fatta di interpretazioni, deformazioni e colori.
Ovviamente ognuno percepisce e guarda il quotidiano in maniera personale e con filtri differenti, io lo faccio così.
Cosa cerchi attraverso la forma d’arte che utilizzi?
La narrazione, nella tela tesso delle trame e voglio che si raccontino da sole. Io posso solo fare da tramite, una sorta di ambasciatore di innumerevoli personaggi, significati, stati d’animo e caratterizzazioni.
Mi viene chiesto spesso di spiegare cosa dipingo o scolpisco, c’è un filo conduttore, ma sta anche a chi osserva trovarlo e lasciarsi guidare da esso.
C’è una parte nella tua ricerca artistica di cui vorresti parlare in particolare?
Mi interessa molto il gioco di luci, dove cadono e non da dove provengono, cosa è celato nelle zone d’ombra e cosa invece appare chiaro ed evidente.
Batto molto su questo punto perché fa parte anche di quella logica di racconto, come se sviluppassi più storie parallele.
Per quanto riguarda le sculture, come ho già detto, mi piace l’idea di poter creare una sorta di scenografia che parli di un passato quasi cristallizzato nella memoria.
Oppure un futuro ancora immobile, indefinito che aspetta solo di animarsi, magari nella pittura. Per arrivare a questo ho fatto delle ricerche, di forme, colori, abbinamenti e così via.
La trama si è dipanata quasi in autonomia, è stato un crescendo di intrecci di idee che si sono manifestati in questa serie “Underground”.
Qual è il tuo rapporto con il mercato?
Al momento non ho alcun tipo di rapporto con il mercato e devo dire che la questione m’intimorisce da un lato, ma mi lascia indifferente dall’altro.
Non produco dei lavori perché questi vengano venduti, ma per comunicare qualcosa.
Cosa consiglieresti ad un artista che vorrebbe vivere d’arte?
Mio malgrado non vivo di questo e sono certo non sarà questa la mia principale attività economica.
Non posso parlare per tutti, ma vista la domanda, quello che consiglio è di dedicarsi all’arte con anima e cuore, pur mantenendo sempre i piedi ben saldi a terra e avere sempre un punto di riferimento lavorativo che possa sostenere anche questa grande passione.
Questa era l’intervista a Fabrizio Acciaro, di seguito i link ai suoi contatti per approfondire sul suo lavoro.
Contatti:
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Francesco Cogoni.